Che senso ha fotografare.

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Utente cancellato Utente cancellato Messaggio 76 di 78
0 x grazie
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io ho fatto un po' di reportage che contempla immagini anche "dure"... bambini terminali nei reparti di oncologia pediatrica, anziani in reparti di geriatria, fotografie per la Pastorale Missionaria, etc.
Chi fa queste fotografie le fa perchè gli sono richieste altrimenti uno crede che scattando a certe realtà, ( uno scattino veloce veloce tra un gelato ed un martini molto secco) lo si possa equiparare ad un reporter ma in tal caso sbaglia di grosso. E' solo un inutile voyeur.

Per santino... per partecipare al pulitzer la fotografia deve essere stata pubblicata su una rivista edita negli Stati Uniti... altrimenti non viene accettata..... Molto spesso a queste immagini fanno riscontro progetti un po' meno ambiziosi... un'occhiatina durante la stupenda serata a vedere le foto della vacanza con gli amici.... mischiata tra tramoni stuuuuuupendi e banchetti affollati di nuovi amici in canottiera multicolor... simpaticisssssssssssssssimi

allego un mio scritto, già pubblicato qui, su come la penso in proposito.

IL CAVALIERE E L’OPERAIO – FOTOGRAFO

L’aneddoto racconta di un Cavaliere che, passando lungo una strada vicino ad un cantiere di una cattedrale, incontra un Operaio intento a sbozzare una pietra. Gli chiede:”cosa stai facendo?” e lui gli risponde, senza alzare gli occhi, “sto spaccando una pietra”.
Poco più avanti ne incontra un altro. Stessa domanda ed il secondo gli risponde con fare un po’ distratto ” io sto lavorando, sai ho da mantenere la mia famiglia”.
Procedendo oltre il Cavaliere incontra un terzo scalpellino che, alla solita domanda, con un certo orgoglio gli risponde girandosi verso l’edificio in costruzione ”non vedi? Io sto costruendo una cattedrale”.
Riflettendoci sopra mi sono detto che un fotografo è come uno di quei operai: può scattare una immagine esattamente con lo stesso spirito con cui i tre sbozzavano una pietra.
Come nel racconto, anche in fotografia, ci sono tre tipi di “operai”.
Il primo è colui che fotografa perché la macchina l’ha trovata nell’Uovo di Pasqua o gliela hanno regalato alla Prima Comunione.
Soprattutto ora, in epoca digitale, nulla gli costa ed infatti non si sogna nemmeno di portare a stampare le proprie immagini storte, male esposte, completamente sbagliate ma soprattutto insulse. Se le dimentica presto nell’hard disk del suo computer.
Il secondo operaio è paragonabile al fotografo “vacanziero”.
Per lui la fotografia esiste solo per 15 giorni all’anno, preferibilmente in agosto meglio se in qualche paese più o meno lontano. E’ sempre intento a pulire la lente con gli appositi foglietti e sta molto attento che neppure un granello di sabbia si avvicini al suo prezioso corpo macchina. Quando piove, ma è molto difficile che ciò accada nel deserto tunisino, non lo tocca.
Il terzo operaio fotografo è il “costruttore di cattedrali”. Ha ed usa solo quello che gli serve, gira con 15 chili di attrezzatura sulle spalle ma non ci fa caso, se diluvia è contento. Per lui la fotografia non è un’arte ma un mestiere.
Cerca, sempre, di catturare “l’immagine assoluta”, lo scatto della vita.
Non dice mai che una foto è bella o brutta, sono aggettivi, questi, per lui sbagliati in fotografia.
Prima di andare avanti bisogna però intendersi su cosa sia un “immagine assoluta” e quindi apro un’altra breve parentesi.
La comunicazione visiva viene effettuata mediante due sistemi di trasmissione: la ripresa video e la fotografia.
La nostra retina è in grado di fissare circa 35 immagini al secondo, ma tutte queste immagini scorrono e fuggono via velocemente nel primo caso.
La fotografia grazie alla sua capacità di bloccare la realtà, di fissare, a discrezione dell’autore, un preciso, singolo, unico ed irripetibile istante su un pezzo di carta consente invece di ricordarlo per quello che è. Sta al fotografo di non falsare la realtà, caso mai di filtrarla grazie alla propria sensibilità.
Noi che siamo tutti fotografi dobbiamo decidere quale dei tre tipi di “operai” vogliamo essere.
A questo punto bisogna capire quale immagine si cerca. La fotografia così come molte azioni compiute dall’uomo può essere classificata all’interno di differenti categorie. .
Molte sono appannaggio di fotografi professionisti, richiedono doti, attrezzature e soprattutto esperienza.
Ma esiste una categoria a cui tutti possono arrivare o quanto meno tendere.
E’ quella in cui ciò che più conta è la sensibilità personale, la predisposizione innata, l’amore ed il rispetto verso gli altri e non la tecnologia o i soldi a disposizione.
Questo tipo di fotografia la si può definire umanistica o sociale o, meglio ancora, con le parole di Cornell Capa, “concerned photography”, ossia fotografia impegnata.
E’ definita impegnata perché ha come centro della propria esistenza la l’uomo e direi che è un impegno non da poco. E’ la fotografia che si occupa degli “altri” che spesso sono intesi così da noi solo perché a noi diversi.
Scriveva Henry Cartier Bresson, che, “una fotografia non la si prende ma la si riceve”.
L’atto del ricevere, è tipicamente quello del donare da un lato e di accettare dall’altro. Un regalo viene dato ad un amico, ad una persona cara, non ad uno sconosciuto, non può essere “rubato”. E’ impossibile: sarebbe un paradosso.
In questa fotografia non si ruba niente
Non la fa chi fotografa da distante con un teleobbiettivo perché avvicinarsi, potrebbe essere inopportuno per gli scarponcini da finto esploratore che, comprati per l’occasione, il turista orgogliosamente indossa pensando di essere una sorta di Lawrence d’Arabia del Terzo Millennio. Non la fa chi ed è la cosa peggiore, ritiene il soggetto, a maggior ragione se “esotico”, un qualcosa da mostrare come un animale da circo.
In definitiva quindi il nostro ed unico operaio – fotografo è colui il quale è capace di stringere nel brevissimo istante di un incontro che, seppur cercato, è speso fortuito, un rapporto che rimarrà per sempre.
Un rapporto intimo , di complicità e di condivisione, di rispetto e di riconoscenza, in definitiva di gratitudine perché il nostro sa che, chi è stato ritratto, ti ha voluto regalare se stesso.
In questo senso il fotografare è un atto di profondo amore verso gli altri, non è un imposizione o un’azione di forza che vede nella macchina fotografica l’arma a disposizione del “forte” per imporsi sul più “debole”.

In definitiva consente agli osservatori di poter soffrire o gioire dell’esistenza altrui, e di immedesimarsi in essa solo guardando un supporto bidimensionale, meglio se bianconero. Permette, ma ricordiamoci che gli è stato concesso di farlo, anche agli altri di entrare in sintonia con il suo soggetto che probabilmente mai più incontrerà. Per raggiungere il proprio scopo mette sempre a repentaglio i propri scarponcini, molto lisi e dalle suole bucate.
Questo “operaio” sa che, senza l’altro, torna a casa con il rullino o meglio con la scheda di memoria vuota.
Ma ci stavamo dimenticando di quello da cui tutto è partito: il Cavaliere che incontra gli operai.
Chi è il Cavaliere? Il Cavaliere è l’osservatore che pone una domanda stupida “cosa fai, fotografi?”, “ cosa vuoi che faccia con la macchina in mano” è la scontata risposta ma che, nell’azione dell’ operaio-fotografo, può trovare, a seconda del tipo di risposta che ottiene, un momento di profonda riflessione personale.
Scriveva David Hurn: “ un fotografo ha solo due decisioni fondamentali da prendere: dove mettersi e quando scattare”.
Che poi è lo stesso che dire: pensare a se stesso nel rapporto con gli altri ed agire da solo pensando alla reazione che quanto da lui fatto avrà sugli altri.

luca forno



Messaggio Modificato (1:30)
laura fogazza laura fogazza Messaggio 77 di 78
0 x grazie
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...è un vero piacere ascoltarti, Luca...

laura
Paolo Luxardo Paolo Luxardo   Messaggio 78 di 78
0 x grazie
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http://www.youtube.com/watch?v=CqsOYsZlPX4



Messaggio Modificato (20:38)
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