... Luca Forno (V.O.G.)

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Maricla Martiradonna Maricla Martiradonna   Messaggio 1 di 70
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Luca è una presenza attivissima nella nostra community, con fotografie e interventi problematici e di indubbio spessore. Si autodefinisce con semplicità nel suo profilo "uno che fa fotografie". Punto. Invece non è solo questo: per lui la fotografia è la vita, il lavoro, lo spazio da coltivare dentro di sé in solitudine. Distillando incertezze. Cadendo in profondità.
Con una sua forma personalissima e spiazzante di austero distacco apparente che riveste una empatia pura, assoluta, con il soggetto fotografato.

Collabora con istituzioni ed enti pubblici nazionali e internazionali di grande prestigio (tra le altre, la CRI, Medici senza frontiere, l'Istituto per la Pastorale Missionaria, l'Associazione Nazionale Ciechi e alcune Federazioni sportive) ed è membro dell'AIRF (Associazione Italiana Reporters Fotografi) di cui è coordinatore regionale per la Liguria, di Reporters sans Frontieres, di NPS (Nikon Professional Service) e di SoPhot, organizzazione francese che si occupa di fotografia sociale.
Ha realizzato servizi fotografici e reportage in tutto il mondo, tra la gente che lavora, che vive con fatica, che soffre.


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Maricla Martiradonna Maricla Martiradonna   Messaggio 2 di 70
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Maricla Martiradonna Maricla Martiradonna   Messaggio 3 di 70
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D. Raccontaci il tuo primo incontro con la fotografia.


R. Il mio primo vero incontro con la fotografia risale al 1971, avevo 11 anni, anche se già da prima mi interessava "l’immagine”. Era il periodo della guerra del Vietnam ed io andavo a dormire dopo il telegiornale e non dopo Carosello. Seguivo i reportage alla tv e poi avevo un lontano parente, lo zio Luigino (in realtà un cugino di mia nonna), che ogni venerdì si presentava alle 6 del pomeriggio con un sacco di giornali e un cabaret (che bel nome) di cioccolatini. Per me e i miei fratelli: il Corriere dei Piccoli, l’Intrepido, Topolino ed altri; per i miei genitori Epoca, L’Europeo, Panorama e L’Espresso… Io leggevo quelli e gli altri neppure li sfogliavo.
Durante quelle letture è avvenuto il primo vero contatto con la fotografia, me lo ricordo come se fosse successo ieri: una fotografia di Vittoriano Rastelli appoggiato ad un elicottero Apache con 3 Nikon e 2 Leica al collo. Era tutto vestito di nero, con il casco e sorrideva. Ho avuto modo di incontrarlo indirettamente poco tempo fa, è genovese ed è lo zio di un mio amico. Al telefono gli ho raccontato quell’episodio, ho avuto in regalo una sua fotografia, purtroppo non quella.
Poi, da quell’anno, aspettavo Natale non tanto per i regali (avevo capito che Santa Klaus non esisteva) ma perché, a dicembre, usciva l’Almanacco di Storia Illustrata che, in un piccolo volume per fotografie e brevi didascalie, riassumeva i principali eventi dell’anno. Mi ricordo ancora ora in quale edicola l’ho comprato e la posizione nella vetrina del libretto che allora, mi pare, costasse 1.000 lire. Li ho tutti, fino a quando sono stati pubblicati, ed ogni tanto li sfoglio. Nel 1973 mi feci regalare la prima macchina, una Canon FTb, che due anni dopo sostituii con una F1 con un parco ottiche costruito piano piano: Natali, compleanni, promozioni (invece che la bici). Ora la mia prima macchina l’ha Teresa Visceglia e son felice. Non le piaceva stare relegata dentro un mobile... soffre di claustrofobia.



D. Hai girato il mondo ma non hai mai ritratto il pittoresco, il particolare, l'interessante, il bello. La tua fotografia può essere (e spesso è) sporca, imperfetta, disturbata. A te non importa, tu cerchi la verità e pratichi l'empatia, l'immedesimazione con le persone e le cose che sono davanti all'obiettivo. Hai detto una volta che sempre, a priori, tu “preferisci scattare” piuttosto che non scattare. Hic et nunc, qui e ora. La fotografia è quindi il tuo modo di appropriarti del mondo, di non lasciarti sfuggire un solo attimo di vita? di non "rinunciare"?

R. Il mondo, almeno quello che “piace” a me, non è pittoresco né bello. A molti, quel mondo non interessa guardarlo oppure fanno finta che non esista. Io no, ma il mio, nell’osservarlo, è un piacere che difficilmente può essere compreso. Se si osserva la condizione umana sotto il mantello protettivo del particolare, dell’estraneo, del diverso o peggio del pittoresco non si entra in empatia con “l’altro”, che poi altro non è affatto. Sono molto critico - al limite dello scontro fisico - con chi se ne va in vacanza e fra mille panorami, mille foto della famiglia, e mille sorrisi di circostanza scatta una fotografia ad un mendicante e poi crede di essere un reporter. E’ solo un buffone che non sa cosa sia la pietas, che non significa compassione, ma partecipazione totalizzante alla vicenda altrui.
Certo, io cerco "quella" fotografia e non potrei farne a meno. Mi sono formato da ragazzino biondo con gli occhiali e le scarpe di cuoio lucido con le stringhe su fotografie dure, talvolta spietate, ma sempre vere. Ora sono un po’ meno biondo, ci vedo meno bene e porto le scarpe con la gomma per non scivolare ma non ho cambiato una virgola: amo la documentazione. Non credo che la mia fotografia abbia uno scopo così elevato, naturalmente mi farebbe piacere ma è solo il riflesso del mio modo di essere.
Per me la Fotografia è questa e dato che la Fotografia non è ciò che sta sul pezzo di carta ma è un organismo autoreferenziale, qualunque sia il soggetto, un corpo, un viso, uno scorcio, un fiore io mi comporto allo stesso modo.


D. Infatti. Accanto alle tue foto di reportage, ci sono immagini di nudi femminili e immagini di elementi naturali.

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Ma non si tratta di “fotografie di nudo” o “fotografie di paesaggio”. Mai. Userei piuttosto, per te, la geniale definizione che Elias Canetti dà del suo Professor Kien in “Auto da fé”: “Non aveva curiosità, aveva impulso conoscitivo”. Io sento nelle tue fotografie ai corpi, femminili e naturali, lo stesso “impulso conoscitivo” che anima le tue fotografie di reportage e dà loro forza, il desiderio, anche un po' malinconico e amaro, forse, di “prendere” la vita. Che ne pensi?

R. La melanconia è uno stato dell’esistenza che mi appartiene e, di riflesso, lo traduco o almeno tento di farlo, in modo forse inconsapevole, nelle mie fotografie. Fa riferimento e si riconduce ai ricordi, a quanto ho visto, alla vita vissuta. E’ uno stato dell’essere solitario, dimensione che mi è congeniale, porta con sé pensieri e riflessioni sulle esperienze. Non mi muovo secondo un “impulso conoscitivo”, anche se la voglia di conoscere in me è molto forte, perché ciò potrebbe apparire come un evento straordinario. Per questo una mia fotografia di donna, o di un fiore, non sarà mai una “bella” fotografia, ma sarà una “mia” fotografia.


D. I tuoi reportage sono svolti su commissione. Una volta, però, ne hai ideato uno tu, per celebrare i 10 anni dalla morte di Madre Teresa di Calcutta. Raccontaci com'è andata.


R. Sì, sono il mio lavoro. Hanno alle spalle una organizzazione molto accurata e meticolosa di cui io non mi occupo. Mi bastano due giorni di preavviso e parto. E quando sono sul posto voglio essere lasciato solo. Spesso depisto il mio accompagnatore, vado in giro da solo senza sapere certe lingue, o dove mi trovo, mi addentro in luoghi sconosciuti, in definitiva mi lascio andare. Talvolta mi sono trovato nei problemi: in Russia mentre fotografavo, senza saperlo, un mercato in cui venivano svolte attività poco lecite mi hanno trattenuto due omoni… Mi sono “salvato” solo perché chi era con me, un po’ preoccupato non vedendomi arrivare, si è messo a cercarmi. Mi hanno obbligato a cancellare le foto ma li ho fregati… alcune le ho salvate. Però me la son vista brutta.
Il lavoro su Madre Teresa era un progetto che non sono riuscito a fare per colpa della… Provvidenza. Lo avevo preparato in modo molto accurato per documentare il decennale della sua scomparsa. I primi contatti a Genova, dove c’è una delle dieci Case in Italia, poi con la sede nazionale a Roma, poi con uffici negli Stati Uniti, infine con la Madre Superiore Generale a Calcutta. Tutto sembrava andare per il meglio, avevo anche trovato gli sponsor a copertura delle spese. Tra l’altro mi era stato detto che l’accredito ufficiale, quale fotografo interno della Casa Missionaria, sarebbe stato rilasciato a me ed a un mostro sacro, Ragu Rai, il fotografo indiano che da sempre ha seguito Madre Teresa, lui Magnum, lui il fotografo che documentò la catastrofe di Bopal. La mia felicità era tangibile. Poi un giorno, inaspettata, ricevo una mail che mi annulla tutto: conteneva anche la motivazione del diniego. Il mio intento di provvedere a una opera di beneficenza con i ricavi dalla vendita del libro che doveva essere pubblicato (inutile dire che avrei lavorato gratis con la sola copertura delle spese) sarebbe andato contro il testamento spirituale della Madre, per il quale il sostegno finanziario deve essere ottenuto grazie alla sola Provvidenza senza alcun intervento attivo che la indirizzi in tal senso. Ho impiegato qualche mese a comprendere il tutto ma alla fine ho capito. Aveva ragione lei.


D. Spiegaci la tua visione del bianco e nero.

R. Non credo che esista una filosofia nel fatto che io usi quasi esclusivamente il bn, anche se talvolta alcune cose le realizzo a colori. Non mi piacciono i colori perché aggiungono molto spesso un elemento di casualità e di distrazione, orientano certe analisi in funzione della loro presenza all’interno dell’immagine e sono fuorvianti. A mio avviso talvolta risultano pure ridondanti all’interno del messaggio.
Poi in generale è tutta una questione di luce. A me la luce non interessa molto, in quanto rende visibili le cose… a me interessa perché contestualmente genera l’ombra ed il buio. Credo che vi sia in me una ricerca di sintesi che tende ad escludere il più possibile gli “orpelli” per far sì che la mia fotografia si riduca all’essenziale, o tenti di farlo.
In definitiva il lato oscuro, quello che non appare, è per me più stimolante di ciò che, visivamente, risulta riconoscibile ed immediato. La fotografia deve porre domande e non fornire risposte, o no? Quindi dare importanza a ciò che non si vede lascia all’osservatore un elemento incognito su cui può costruire una sua personale interpretazione.
E poi da sempre concordo con una affermazione: “ il colore in fotografia è volgare. I colori della fotografia sono il bianco ed il nero”.


D. Spesso costruisci le tue fotografie come “omaggi” ai grandi maestri del passato. Grazie alla tua seria passione per la fotografia e la sua storia, la tua rete di citazioni possibili è praticamente infinita, e inevitabile nella misura in cui siamo ciò che sappiamo. Spiegaci come nascono questi omaggi: li programmi ed esci a cercarli per via, in una sorta di affettuosa “sfida” volontaria con il maestro e con te stesso, oppure ti sorprendono all'improvviso quando vedi ciò che hai scattato, costringendoti, quasi, a riconoscerli?


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R. Non ho mai riflettuto molto su questo. Una componente è certamente dovuta al fatto che mi appassiona studiare libri e assimilarli, e quindi forse certe immagini le ho già viste e mi viene automatico rifarle. Se fotografo una panchina non lo faccio pensando che Kertész le ritraeva ottanta anni fa ma poi mi accorgo che ho seguito la sua strada. Senza arrivare, aggiungo, al traguardo da lui raggiunto. Dato che ormai tutto è già stato fotografato, le mie sono tropi di quelle precedenti: certi elementi ricorrono ciclicamente guidati dall’inconscio.
Da sempre io lancio strali contro chi commenta una fotografia sulla base dell’emozione. E’ una cosa che noto con frequenza. Allora io mi sono domandato cosa mi emoziona di una fotografia, e la risposta è: niente. Ciò che mi emoziona è il talento di chi l’ha scattata, la sua storia personale. A me emoziona chi ha premuto l’otturatore e non quello che ci è dato da vedere. Forse i miei “omaggi” sono tali nei confronti dell’autore e non nel voler rifare certe fotografie, perché le mie sono prive di storia. Ben consapevole che certe fotografie sono dei capolavori proprio perché spesso definiscono dei punti nodali all’interno di una vita. La storia di "Walks to Paradise Garden" di Eugene W. Smith ne è l’esempio più eclatante, così come lo sono le fotografie di paesaggio di Gordon McCullin.


D. C'è qualcosa, nel mondo, nella vita dell'uomo, che ti rifiuteresti di fotografare?


R. La banalità e la volgarità… per il resto non mi pongo limiti. Ma forse queste non sono proprie del mondo ma di chi lo guarda e lo traduce secondo questa declinazione. 




D. Credi nella menzogna o nella purezza della fotografia?


R. La fotografia quale “specchio del reale” è verità. Noi non possiamo manipolare quello che accade. Possiamo essere solo testimoni o talvolta attori, e questo vale per tutti i generi.
Se invece la fotografia è “finestra aperta sul mondo”, deve essere verità. Non possiamo, una volta che apriamo questa finestra per vedere cosa accade, chiuderla per non voler accettare lo spettacolo. Il che si traduce, nella mia fotografia, ad evitare il più possibile la manipolazione, anche a costo dell’imperfezione. Preferisco buttare nel cestino, vero o digitale, anche la mia foto migliore se questa per essere esposta o pubblicata deve essere manipolata artificiosamente. In alternativa la fotografia è come è, con i suoi limiti tecnici o espressivi. Non accetto la manipolazione soprattutto quando è fine a se stessa. Sono molto critico con quanto faccio, e questo rigore lo esprimo anche a proposito degli altri (credo che qualcuno qui se ne sia accorto). Se, come credo, la mia fotografia sono io, a me non piace raccontare bugie e girare tanto intorno per essere politically correct.




D. Raccontaci di quella volta in cui ti hanno distrutto la macchina fotografica.

R. Fosse una...
Ero a Calcutta, all’interno della Casa Madre delle Sorelle della Carità. Un luogo di una “bellezza” infinita. Si può intuire cosa intendo con questo termine: emanava dolore e sofferenza, umana tragedia ed impotenza mista ad umanità e speranza, misericordia ed amore. Insieme ad Auschwitz, il “luogo” più devastante che abbia mai visto.
Senza autorizzazione non si poteva fotografare. Io non lo sapevo e non l’avevo richiesta ma, di nascosto, naturalmente con un po’ di difficoltà, lo facevo. Quando una Sorella se ne è accorta, a dire il vero dopo avermi ripreso tre o quattro volte, mi ha sequestrato la macchina. Me l’hanno restituita all’uscita, con un sorriso e con attaccata alla tracolla una piccola medaglietta di latta sbalzata di Madre Teresa. Da allora la tengo sempre nel portafoglio.
Poi ne ho distrutto altre. A Cuba dopo 8 ore di jeep su una strada con più buchi del Mare della Tranquillità, giunti a destinazione, mi alzo credendo di averla al collo… era appoggiata sulle ginocchia, invece... una D2X andata.
In Africa metto un 70/300 in tasca e per un buco sulla strada mi vola per terra a 80 km/ora (da allora odio le jeep scoperte)… ha rimbalzato come una palla magica per 300 metri.
In Indonesia ero in un sito archeologico, inciampo, casco a terra e spacco un 24/70 ed un flash. Ho iniziato ad inveire contro tutte le divinità (e lì sono molte) e a prendere a calci una statua… Sono intervenuti i guardiani.
In Cina, l’anno scorso, in un cantiere finisco dentro un tombino che non ho visto perché guardavo in alto, c’era una gru meravigliosa… Un macello: D2X, flash, 70/200, 12/24 e una Hasselblad, tutti in clinica.
La LTR ogni volta che parto si frega le mani… però poi la Nital mi sponsorizza e mi fornisce la sua attrezzatura in comodato d’uso gratuito e assicurato.




D. Sei qui con noi dal febbraio 2007, senza interruzioni. In nome di cosa resisti? :-)

R. Solo? Da così poco? Prima avevo fatto una capatina con un altro nome mi pare… vabbè…
Il mio lavoro è molto solitario e mi piace che lo sia. Il confronto dialettico però mi ha sempre interessato, non potrei farne a meno e qui lo trovo. Talvolta mi prendo delle libertà un po’ eccessive e non sto a girare tanto intorno ai concetti. Se la mia fotografia vuole o vorrebbe essere il più vera possibile lo devono essere pure le mie parole, perché queste non sono altro che il modo che ho di esprimermi e di rapportarmi con gli altri, solo utilizzando con un linguaggio differente.



D. Luca, la nostra chiacchierata è finita. Puoi tirare un sospiro di sollievo, per fortuna non ti ho chiesto…

R. Per fortuna non mi hai chiesto “Dove sta andando la Fotografia?”. Perché la mia risposta, beninteso se tu me la avessi posta, cosa che non è accaduta, ma nella remota ipotesi che ciò fosse accaduto ma lo ripeto non è stato così, sarebbe stata: “Cara Maricla, la fotografia sta ferma, non si è mai mossa, siamo noi che forse ci allontaniamo da Lei, abbagliati da effimeri miraggi. Ma si sa, inseguire i miraggi è pericoloso, alla fine non ti conducono mai dove troveresti l’acqua".
Maricla Martiradonna Maricla Martiradonna   Messaggio 4 di 70
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Grazie, Luca, sei stato impagabile...!

Vi passo la parola, ci ritroviamo qui sabato prossimo con Paola Mischiatti .
Donato Palumbo Donato Palumbo   Messaggio 5 di 70
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che bella lettura mi sono fatto 'sta mattina
...non ho domande ascolto e faccio tesoro!
Utente cancellato Utente cancellato Messaggio 6 di 70
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Luca, dopo aver letto la tua intervista comprendo, capisco e sottoscrivo anche la tua gran faccia di tolla :-)))
ora vedo di assimilare quanto hai scritto e magari romperti le scatole con un paio di domande ... se ci riesco.

è stata una gran bella lettura
Er@S
Utente cancellato Utente cancellato Messaggio 7 di 70
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ecco che mi vien da domandare.
Luca, nella tua intervista sottolinei fortemente l'aspetto della verità/sincerità, da più parti si sente dire che la Fotografia è "falsa verità", come ti poni rispetto a questo assunto?
Arnaldo Pettazzoni Arnaldo Pettazzoni Messaggio 8 di 70
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Di certo mi trovo davanti a un Fotografo nato fotograficamente in quel lontano periodo dove vi era solo la pellicola positiva o negativa....credo di poter usare il termine “forgiato” da essa..
La sua conoscenza fotografica è consolidata e a volte stupisce (io compreso) seguire la sua dettagliata narrazione. I suoi giudizi e le considerazioni. sono spesso taglienti sulle foto altrui.... lasciano traccia di se.... sempre......a volte come una ferita inferta senza nessuna pietà , dolorosa e spesso inaccettabile da chi la subisce ..... ma ritengo sia sentenziosa per amore della fotografia....e non per la soddisfazione personale di infierire....... lasciando sempre...dopo tutto.... la possibilità di rispondere e contestare il suo fendente .
Ho questa sincera opinione ....augurandomi di non essere frainteso da chi mi legge nell'avere interpretato la personalità di V.O.G. usando una terminologia contraria e alternativa all'arroganza..... parola che spesso ritengo venga pensata.. e a volte inserita con rabbia nelle risposte hai suoi dissensi. Una domanda che è più un consiglio l'avrei.....secca secca...anche se in realtà c'è poco da chiedere..basterebbe soltanto leggere... ora che ti sei descritto e conoscendoti anche tra le pieghe fino a ieri in ombra sulla tua fotografia... mi chiedo.. visto la tua potenzialità... se non sia il caso di insistere e approfondire la tua personale identità fotografica.. che vada fuori dalle commissioni altrui..(naturalmente pane quotidiano permettendo)..... hai ammesso che i GRANDI a volte occupano il tuo subconscio...ho un plauso per questa frase...tutti chi più e chi meno le hanno le influenze non virali in questo campo.... ma dallo spessore di conoscenza che hai raggiunto.... puoi aggiungere secondo me senza problemi del tuo a quel GRANDE
E' tutto Luca....è solo un punto di vista:-)
Utente cancellato Utente cancellato Messaggio 9 di 70
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a me non piace molto ringraziare ... sono timido . ma ci sono certe occasioni in cui mi fa davvero piacere farlo .
grazie a Maricla che mi ha proposto questa chiacchierata. solitamente sono un po' restio a certe occasioni pubbliche, anche se poi mi divertono molto, ma ho accettato con gioia perchè credo fermamente che la fotografia sia o dovrebbe essere specchio di chi la fa e così parlando un po' di me è come se mi fossi fatto un autoscatto.

poi passo a rispondere alle domande .. le prime due sono di grande interesse.per me



Messaggio Modificato (16:48)
Utente cancellato Utente cancellato Messaggio 10 di 70
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per Erasmo
Marco Riolfo in un testo che accompagna il mio libro sulla miniera siberiana di Korchakol ha scritto:

" Ecco perchè questi " infiniti istanti" ( direbbe Geoff Dyer) che sono la fotografia di Luca Forno non sono ( direbbe Giuseppe Pinna)" mezzi di verità, ma effetti di verità, verosomiglianze" giacchè - per dirla con l'ineffabile Karl Kraus - vale per la fotografia quello che diceva per l'aforisma : " non coincide mai con la verità, o è una mezza verità o una verità e mezzo"
non essndo la fotografia assoluta non può per definizione essere vera può però essere volutamente falsa perchè la falsità è relativa. quindi credo che cercare almeno di non seguire la strada della falsità in ogni sua componente la prima delle quali è la motivazione per cui si scatta sia il massimo a cui si può arrivare. certo è che quello che uno vede è la " mia " verità , naturalmente prodotta dal mio modo di vedere , dal mio modo di pensare ma non di meno dal mio tentativo di non voler ingannare nessuno e in prima istanza me stesso.
il discorso potrebbe prendere pieghe più dirette in merito all'uso di certi accorgimenti in fotografia , parlo della postproduzione in digitale, ma mi son ripromesso qui di non scendere sul piano puntuale.
dico solo che preferisco una mezza verità o una verità e mezzo ad un quarto di falsità



Messaggio Modificato (15:31)
Utente cancellato Utente cancellato Messaggio 11 di 70
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per Arnaldo
naturalmente avere un proprio linguaggio riconosciuto e riconoscibile in quanto totalmente personale è un traguardo a cui mirare.. direi il traguardo finale a cui aspirare. spesso utilizzo il gico del rimando ai Grandi , ma per me è un divertissement, un passatempo . Rifaccio Penn , Kertezs, Koudelka o Salgado ben sapendo di non poter entrare in competrizione ma non per n on voler utilizzare un mio personale modo ... solo per gioco.
A dire ilvero la fotografia al di fuori degli assignement mi interessa relativamente . Certo è che anche in quelle occasioni sviluppo temi estranei all'incarico affidatomi , per un uso personale e per piacere ma è molto difficile che io parta nel tempo libero e vado a scattare, lo faccio solo in qualche occasione, ma rara.
Vedo sempre la fotografia come ad un qualcosa che se fatta deve servire qualcosa e così spesso anche quando mi ispiro a qualcuno cerco di metterci un po' del mio per allenare il cervello . ma prendendo spunto da questi è difficile ... loro hanno già detto tutto ed aggiungere un qualcosa è davvero arduo.
Utente cancellato Utente cancellato Messaggio 12 di 70
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ora sparisco in camera oscura ... mi son comprato del cartoncino in cotone 100% pressato e tagliato a mano... inglese... che è una libidine solo a vederlo e a toccarlo .. pesa 350 gr ... mi faccio le emulsioni modificando quelle della Rollei le applico è poi stampo un po' ... ed alla fine un bel viraggio al selenio .. per la gioia di tutti ( mia .. plurale majestatis)

a dopo



Messaggio Modificato (15:24)
Rosalba Crosilla Rosalba Crosilla Messaggio 13 di 70
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Buonasera Luca,
interessante lettura, la tua intervita, lettura che per me non finisce qui, visto che mi riservo di ripassarla per (sicuramente) scoprire anche solo tra le righe qualcosa di nuovo che mi sia di lezione.
Illuminante ciò che dici sul b/n: è, credo, la spiegazione più vicina alla realtà anche per la mia predilezione del b/n, qualcosa che "sentivo" e che mi spingeva a questo tipo di conversione, ma che non sono mai riuscita a spiegarmi in modo compiuto.

(e grazie a Maricla: gran bella idea, questa delle interviste! ;-)) )
maria teresa mosna maria teresa mosna Messaggio 14 di 70
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Leggendo questa intervista, non solo bella ma ricca di conoscenza e tecnica, viene subito voglia di mettersi al lavoro.
Un lavoro lungo e impegnativo, se l'intenzione è quella di crescere e migliorare, un lavoro però che spero mi divertirà a lungo.
Mi piace molto la tua spiegazione sul b/n e sui colori, certamente è un percorso che va affrontato poco per volta e caso per caso.
Complimenti per i tuoi lavori, i tuoi libri e il tuo immenso impegno verso la Fotografia.
Ringrazio sempre Maricla per queste deliziose letture del sabato che ci offre, ciao
paolo pasquino paolo pasquino Messaggio 15 di 70
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c'è poco da chiedere a Luca. sarebbe necessario viverlo, mentre. a proposito, se mai ti capitasse l'esigenza di avere un assistente che sta attento alle tue macchine.. eccomi, due giorni di preavviso sono anche troppi.
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