il furbetto

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Stefano G. Spedicato Stefano G. Spedicato Messaggio 1 di 15
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http://smargiassi-michele.blogautore.re ... incollato/

quanti fanno i furbetti in fotografia ?
Carlo Pollaci Carlo Pollaci Messaggio 2 di 15
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Avevo già letto questo articolo su "la Repubblica" (questa estate, se non ricordo male). Ti ringrazio della segnalazione, in quanto me lo sono riletto d'un fiato.
Certo l'intervista tra Michele Smargiassi e Francesco Cocco offre spunti di riflessione a iosa. Per cui non mi sento di dare un giudizio se non dopo averci "meditato" un po' su.
Utente cancellato Utente cancellato Messaggio 3 di 15
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non credo nella buona fede o nelle belle parole di chi fa una cosa del genere e la manda ad un concorso internazionale di "fotografia umanistica" ... preferisco questo termine a quello spesso usato a sproposito "umanitaria"
Utente cancellato Utente cancellato Messaggio 4 di 15
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Le regole sono regole e lui sicuramente le ha infrante. Così come mi sembrano poco credibili le sue parole quando sostiene che soltanto al momento di essere ripreso dalla giuria gli si sono aperti gli occhi su quanto fatto.
Ci si può poi interrogare sul senso di tali regolamenti quando determinati effetti in digitale sono ottenibili solo attraverso Photoshop mentre in analogico erano pure ottenibili semplicemente ricorrendo ad altri strumenti, come per es il blocco del trascinamento della pellicola, la doppia esposizione della pellicola, la molteplice esposizione della carta fotografica in camera oscura, il publishing analogico, ecc. Vuol forse questo dire che a questo punto tutto un certo tipo di fotografia che un tempo era anche valvola di sfogo per l'estro del fotografo resta in futuro preclusa? Certo, è vero anche che qui si parla di fotografia di reportage e sono sicuro che allora come oggi sicuramente regole stringenti avranno anche in passato ristretto il campo di foto presentabili ad un concorso. Sul fatto che Cocco non abbia alterato il contenuto nel senso che non ha dato un'immagine falsa o fuorviante della realtà si può essere d'accordo. È un po' tirata ma diciamo che ci può stare. In generale la fotografia altera, tuttavia è sempre una domanda del grado di questa alterazione e quanto questa sia fuorviante o dannosa. Ecco in questo caso non colgo un danno presumibile dal contenuto alterato in esame. Resta per me un giochino/giochetto giustificato con delle "pere mentali" di Cocco che faccio fatica a collocare/comprendere. Il discorso della difficoltà di raccogliere foto non posate di donne col burqa ed all'aperto non giustifica la sua immagine mentale: che c'azzecca l'espediente adottato? In fondo non era già riuscito nel suo intento con un solo scatto? Come dovrebbe la sua elaborazione ampliare il concetto? Come detto, un giochetto che non arreca a mio avviso un danno particolare, nel caso in esame, salvo creare un precedente che, se non sanzionato, sfonderebbe una porta. Per come la vedo io in questo genere di fotografia certe restrizioni ci vogliono eccome. Diciamo però che la restrizione è formulata in modo idiota. Dire “La struttura originale dell’immagine digitale potrà essere alterata solo con tecniche da camera oscura come correzioni di luminosità, del contrasto e del colore, sovresposizione e sottoesposizione. Nessun altro cambiamento dell’immagine originale è permesso“ è assurdo. Si sanziona lo strumento, così facendo, e non il movente. Anziché andare per esclusioni perché non dire semplicemente cosa È ammesso? E soprattutto PERCHÉ. In questo modo non si può dare adito a dubbi, repliche, soterfuggi e scappatoie. Limitare a tutto quanto sia fattibile in camera oscura è assurdo semplicemente perché anche in camera oscura, così come anche in fase di scatto, si potevano fare miracoli ben prima dell'avvento del digitale.

Solo un piccolo es. di cosa fosse possibile in passato:

http://dianepernet.typepad.com/.a/6a00d ... 970b-600wi

scatto di June Newton, aka Alice Springs, per la copertina della rivista Elle
Utente cancellato Utente cancellato Messaggio 5 di 15
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a mio avviso qui non si tratta di cosa è possibile fare con il digitale o l'analogico. Qui non siamo nel campo della creatività ma in quello del documento e della consappevolezza da parte di un professionista di partecipare uin modo fraudolento. i principali concorsi internazionali aperti ai professinisti ( WPP, Infinity, Barnack, Chatwin, Hasselblad) specificano chiaramente cosa è lecito poter fare e se lo so io credo che lo sapesse anche Cocco . dire : "Quella era l’immagine che avevo in mente, quella era la fotografia che mi era rimasta nella mente” a mio avviso è inaccettabile soprattutto nell'ambito della documentazione sociale in cui la credibilità è la prima cosa da ricercare. a mio avviso è deontologicamente inaccettabile soprattutto perchè chi ha operato l'inganno è un professionista ed ancora di più perchè ha utilizzato quella sua creazione non per una visione personale ma per partecipare ad un contest . Detto questo mi paiono scuse prive di senso e giustificazioni risibili quelle espresse da Cocco pari a quelle del marciatore , Scharwz( forse scritto male) che, beccato perche dopato, si mette a piangere in tv e chiede scusa a tutti ... ma aveva ingannato per ottenere una maggiore chance di successo, mica per altri motivi. Chi ce lo dice che altre sue immagini non sono state elaborate ad arte per vincere in altri concorsi? e se non fosse stato scoperto sarebbe stato ,come lo è stato prima, ben zitto... mica ha restituito il premio di sua spontanea volontà. Per me è un fatto ignobile ... senza se e senza ma.
ne racconto una : un conoscente fotografo di Genova si reca a Beirut nel 2009 accompagnando un fotografo pro per un reportage dopo la guerra . tra le sue foto una molto bella: un gruppo di bambini che gioca su delle macerie e dietro di loro, scritto con la vernice rossa su un muro diroccato, la scritta " no war please" . Immagine molto forte ... perfetta. Solo che lo stolto ha avuto la bella pensata di pubblicare prima l'immagine vera dove la scritta, aggiunta in post, non esisteva. Scoperto , lui che era socio dell'A.I.R.F. ( associazione italiana reporters fotografi) è stato cacciato per violazione dewlla deontologia del regolamento che ogni iscritto sottoscrive. A mio avviso giustamente ed aggiungo che conosco molto bene chi ha scoperto l'inganno... su certe cose non si può falsare la verità.
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Luca, per quanto riguarda l'aspetto etico mi pare di aver detto le stesse cose che dici tu.
Il discorso su digitale ed analogico invece c'entra eccome invece, perché se si definisce meglio questo aspetto si evita a priori che i furbetti di turno ci provino. Se dico, parafrasando, "sono ammesse foto elaborate con tecniche possibili anche in camera oscura", apro la porta ad ogni tipo di intervento o quasi. Se dico: "non sono ammesse foto che risultino dal montaggio di più pose", il messaggio è univoco e non può essere male interpretato. Sono stato chiaro?
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un conto a mio avviso è se l'elaborazione "additiva" o meglio creativa è uno strumento d'espressione artistica personale ... come ad esempio può essere la doppia esposizione ammessa che questa sia fatta in sede di ripresa perchè altrimenti non è esposizione. altro campo è quello del reportage e più in generale della documentazione di tipo giornalistica che sebbene con tutte le variabili possibili proprie dell'oggettività del singolo non può costruire per rendere ai fruitori dell'immagine una realtà fantastica che non esiste o meglio che non è mai esistita . a mio avviso il distinguo è proprio dovuto alla specificità del contesto in cui questa mascalzonata è stata messa in atto . poi in campo personale tutto può essere lecito a seconda dell'etica di ciascuno ... ma non è possibile fare un falso in un concorso. io giudico questo caso , non entro nel merito deòlla leicità dell'elaborazione con qualsiasi mezzo è ottenuta e ciascun fotografo sa bene cosa si intende per elaborazione "creativa" ... chiamiamola così per non chiamarla in altri modi. io credo che non ci posasano essere giustificazioni soprattutto perchè un fatto del genere mette alla berlina l'etica che credo che sia ben più importante della vittoria in un concorso.
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Ok Luca, visto che evidentemente non hai letto il mio post o lo hai letto velocemente, come spesso ti accade, o non lo hai letto fino in fondo o evidentemente non riesco a spiegarmi, continueremo il giorno in cui ti sforzi di capire quello che gli altri scrivono. Non riesco altrimenti a spiegarmi cosa della frase "Per come la vedo io in questo genere di fotografia certe restrizioni ci vogliono eccome." non risulti chiaro da continuare a suonare sullo stesso tasto. Il mio punto era un altro: posto che eticamente nella fotografia di reportage certi atteggiamenti anche per me non sono giustificabili, volevo solo far riflettere su un altro aspetto, sottile ma a mio avviso rilevante per evitare che casi simili si presentino sempre di novo. Ma non ha importanza, continuiamo così.
Alla prossima.
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@VOG "un conto a mio avviso è se l'elaborazione "additiva" o meglio creativa è uno strumento d'espressione artistica personale ... come ad esempio può essere la doppia esposizione ammessa che questa sia fatta in sede di ripresa "
Aggiungo: io vado anche oltre. Per quanto riguarda il valore documentaristico/informativo, se lo scatto in esame fosse stato ottenuto con una doppia esposizione in momento di scatto non mi sarebbe andato ugualmente bene. Vedi, la differenza tra te e me, mi pare, sta nel fatto che a me non interessa il modo in cui si arriva ad un risultato, ma il risultato stesso. In relazione poi al tipo di fotografia. E, come detto, se voglio fare fotografia documentaristica e di reportage queste reinterpretazioni sotto l'etichetta di "arte" non mi vanno bene, perché allora non parliamo più di fotografia documentaristica ma di concept. Allo stesso modo nella stessa categoria fotografica (di reportage) non sopporto quando l'aspetto drammatico viene esaltato e snaturato allontanandosi da un contesto reale. Se ne è parlato di recente già in un forum sulla postproduzione. Rendere un celo più drammatico di quanto già non sia, un soldato più sporco, aumentandone il contrasto locale, o usare pesanti vignettature in post, possono dare un prodotto artistico, non lo metto in dubbio, ma non un prodotto di reportage. Per i miei gusti. Tanto vale che l'autore anziché andare "on location" a fare gli scatti, se li dipinga a casa o se li faccia dipingere. Tanto comunque vuole rappresentare quello che ha già in testa. Prima ancora di comprarsi il biglietto dell'aereo. Ma questi ultimi non sono aspetti sufficienti ad una squalifica, me ne rendo conto, essendo troppo sfuggenti ed indefiniti/indefinibili e ricadendo nella sfera del soggettivo e del gusto personale. Ma l'aggiunta, sia essa in pre o in post, in analogico o in digitale, quella resta un aggiunta, di un contenuto che altrimenti non ci sarebbe. Come detto, dei limiti devono essere posti. Solo che io non li porrei per esclusione, per giunta attraverso maldestri confronti con altri metodi di sviluppo (es. camera oscura) ma in maniera propositiva.
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Penso che analizzare i limiti concessi o negati alla fotografia 'documentaristica' sia un utile ed interessante esercizio dialettico. Ma la porta di cui parli, Fabio, non è socchiusa, nemmeno aperta, è spalancata.
Il fotografo si trova in un contesto che ha già pre-scelto, vede una situazione, scatta. L'atto fotografico è compiuto. Poi apre il file e si accorge (o lo sa già) che la scena ha elementi di disturbo, di debolezza che diluiscono il messaggio, intorbidano la comunicazione, lanciano messaggi confusi. Allora comincia il processo di isolamento dei punti forti dell'immagine. Ritaglio per concentrare l'attenzione, attenuazione della visibilità degli elementi di disturbo con vari metodi, aumento del contrasto per dare risalto al soggetto, all'azione, sfocatura selettiva di elementi marginali, e via elencando. Il prodotto finale è un'immagine che può aver subito processi di alterazione abbastanza profondi. Ma io, spettatore, fruitore, giurato... guardo l'immagine (ormai non è più uno scatto) e colgo un concetto, un'idea, un messaggio o una rappresentazione, che esigo oggettiva, della realtà? Perché mai allora accetto che sia in bianco e nero, tanto per cominciare? Se mi interessa 'vedere' quello che succede in un dato paese, in un dato contesto, l'immagine me ne dà una rappresentazione visuale, usa il linguaggio della fotografia invece che quello della parola. Io la guardo e 'so' che i bambini nei campi profughi turchi giocano come quelli nei campi profughi tailandesi. E rifletto (anche) sull'innocenza dell'infanzia,... E' importante per me essere sicura che non sono stati eliminati elementi, che le rughe del viso della nonna sono 'saltate fuori' in post? La nonna era lì, sorvegliava i bimbi e il suo sguardo non l'ho creato in post.
Se si vuole guardare al futuro senza preconcetti occorre fare i conti non solo con quello che la tecnologia digitale mette a disposizione ma anche e soprattutto con quelli che sono gli aspetti narrativi delle immagini. Anche nel caso di foto documentaristiche.
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Carla, penso che sostanzialmente siamo d'accordo su diversi punti. Sono sicuro che ricordi d'altronde come negli anni di presenza in community abbia sempre sostenuto la soggettività fisiologica dello scatto. La fotografia altera. E, estremizzando, come d'altronde ogni forma di comunicazione, non è in grado di documentare. Sostanzialmente ogni forma di comunicazione è destinata in tal senso a fallire. La fotografia particolarmente per tutta una serie di motivi. Questo se per documentazione intendiamo l'aspirazione alla rappresentazione puramente oggettiva del reale. E questa è utopica speranza.
Detto questo, sono convinto che ci sono gradi diversi di libertà che vanno a definire il rapporto soggettivo/oggettivo su una linea ideale senza soluzione di continuità che vede i due elementi, soggettivo vs. oggettivo, agli estremi. Ecco, per come la vedo io, un conto è dire che in un documento è comunque presente una componente soggettiva: L'interpretazione, i sentimenti, il pensiero o comunque la realizzazione stessa (inquadratura, taglio, scelta della focale, apertura del diaframma, ecc. fino al post) del prodotto finito (la foto), sono elementi presenti, tutti o in parte, nello scatto. Ma un conto è il processo di creazione dello scatto che coinvolge l'interpretazione del reale da parte del fotografo. È un'interpretazione che porta sicuramente alla metamorfosi in un qualcosa di nuovo. Tuttavia partendo da qualcosa di già esistente. Metamorfosi, non genesi. Metamorfosi implica qualcosa che già c'è che cambia, si trasforma. L'aggiungere qualcosa di completamente estraneo alla scena, come clonare una figura o aggiungere una scritta non è metamorfosi, è genesi, è soggettività pura e la documentazione va completamente a farsi benedire. È il caso dell'es. fatto da Luca della scritta aggiunta "No alla guerra" o il caso della donna in burqa replicata sullo scatto. Peggio ancora, quando questa proiezione viene spacciata per "reale". Se perlomeno fosse resa evidente dall'autore la manipolazione, la natura di concept dello scatto sarebbe salva e sarebbe evidente il messaggio dell'autore "non state guardando uno scatto di reportage, ma un concept". Invece, la mascherazione del "trucco" porta ad un prodotto che non è né reportage, né concept, solamente truffa. Per questo sono d'accordo con te nel dire: negare non porta a nulla. Solo alla mortificazione e alla limitazione dei mezzi espressivi. Il contenuto tutta via va salvaguardato, in maniera propositiva, a tutela di quel poco di oggettività che rende possibile l'essenza dell'informazione e della documentazione.
Utente cancellato Utente cancellato Messaggio 12 di 15
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Fabio, mi sembra che concordiamo su molti punti e penso che possiamo allinearci in modo non conflittuale su altri. Esaminiamo l'aggiunta di elementi estranei allo scatto originale. In un'immagine che si presenta come documento tendo a non condonare l'aggiunta della scritta 'No alla guerra' né la clonazione della donna burqata. Nel primo caso però giustificherei l'atto se la foto mi fosse presentata per la forza del suo messaggio, (per es. in una campagna pacifista), comunque fosse costruito il mezzo (=la fotografia) che tale messaggio convoglia. Nel secondo caso, all'interno di un reportage documentaristico la clonazione mi pare veramente inaccettabile: che ci fosse una donna o tre in fila non rafforza il documento, è solo una questione di volere una fotografia 'più bella'. Nel qual caso andava fatta in fase di scatto (di genesi) e se non ce n'era l'opportunità, non c'era la fotografia. Punto. Una figura di melma come quella di Cocco non vorrei farla nemmeno io su Fc, altro che prestigioso concorso planetario :-)
Sull'oggettività dell'informazione salvaguardata da immagini non sottoposte a metamorfosi invece mi trovi discorde. Tale oggettività, IMHO, non esiste proprio. Perchè non credo che esista una posizione totalmente neutra nei confronti di situazioni a contenuto 'umanistico'. Anche inconsciamente prendiamo posizione e in fase di scatto scegliamo che cosa rappresentare. Possiamo farlo con l'intento, certo, di informare, ma anche di attirare l'attenzione ed essere un migliore reporter di un altro, uno che non entra nella scena o che non ha il coraggio di andare fino in fondo a rappresentare la canagliaggine del genere umano e la desolazione di certe esistenze. E comunque, se vado nella striscia di Gaza sicuramente non è per fotografare quello che funziona, la vita che le persone, nonostante tutto, riescono a condurre con quotidiana normalità. Vado a fotografare il muro di cemento eretto dagli israeliani, gli uliveti distrutti per far posto a nuovi insediamenti, il dolore di chi non ha più casa nè bottega. Perchè quello è ciò che si vende sul mercato internazionale del reportage. La fotografia documentaristica ha un valore economico, fa campare il reporter, il quale chiede (ma ormai lo sanno e lo fanno anche da soli) ai miliziani di turno di sparare in aria o alzare gli AK47 in segno di giubilo o vendetta, e solo poi scatta. Mercimonio del documento. Oggettivo? Non credo proprio.
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D'accordo su tutto Carla. In parte anche sull'ultima parte, perché, come io stesso ho detto, io all'obiettività pura non credo. Tuttavia una cosa è la realtà filtrata attraverso l'occhio del fotografo, un'altra cosa è la rappresentazione di un qualcosa che a priori non esiste. Se i miliziani si mettono in posa, è una foto posata, ma sempre miliziani sono. In una zona che comunque è di guerra. Elemento oggettivo che viene manipolato, diciamolo pure, dall'elemento soggettivo del reporter che li fa mettere in posa. Ma sono due elementi, realtà e partecipazione personale, entrambi presenti anche se di volta in volta a seconda della situazione secondo pesi diversi. Tant'è che avevo anche detto: "componente soggettiva:...la realizzazione stessa (inquadratura, taglio, scelta della focale, apertura del diaframma, ecc. fino al post) del prodotto finito (la foto)". Ecco, anche senza andar a far mettere i miliziani in posa, basta già questo a reinterpretare la realtà. Ma realtà sempre è. Solo, in una delle sue molteplici sfaccettature. L'unico modo per avere un quadro completo e oggettivo sarebbe, in teoria, avere un immenso puzzle composto da tutte le impressioni contingenti di una miriade di persone che osservano una stessa scena. Cosa ovviamente impossibile. Ma anche in questo caso bisognerebbe interpretare questo quadro. E chi lo fa? L'osservatore, ultimo elemento in gioco che porta ulteriore soggettività a concludere un processo che è iniziato con uno scatto.
Quindi abbiamo un aspetto della realtà, fortemente soggettivo, con una componente oggettiva. Abbiamo un documento tuttavia, anche se uno tra tanti altri possibili ed alternativi.

Se invece vengo a Torino con una compagnia di attori vestiti da miliziani e li fotografo mentre sparano in aria in corso Unione Sovietica ho una rappresentazione teatrale e basta.

Poi, chiamami sognatore, ma io non credo all'esistenza di soli estremi. Non credo alla possibilità di essere oggettivi ma non credo neanche alla pura soggettività né alla sola esistenza di reporter che pensano solo al loro tornaconto o quantomeno alla loro sopravvivenza. Posso far mettere i miliziani in posa. Scatto in larga parte soggettivo. Ma posso anche trovarmi nel bel mezzo di uno scambio a fuoco. Nell'ultimo esempio sei puro istinto: non hai tempo di scegliere inquadratura, messa a fuoco o sa Dio cosa. Probabilmente quanto si avvicina di più all'obbiettività. La tua testa, non sta prendendo parte a nessun processo "creativo". Scatti e basta.
Ho poi visto lavori di reporter che sanno fotografare anche la vita, non solo la morte. Anche ricostruire, tornare a vivere, sono aspetti che fanno parte dell'informazione, e ci sono reporter che sanno osservare anche questi aspetti. Per non restare solo sulla fotografia, basti pensare ai bellissimi testi del compianto Tiziano Terzani.

E basta vedere mostre di reporter come Paolo Pellegrin o Eve Arnold, che non dimenticherò mai, vere e proprie esperienze, per vedere quanto per un reporter di livello sia importante prendere in considerazione tutto, quanto capire la vita sia importante per capire anche la morte. Il reportage non è sempre e solo il fotografo "immerso nel fango" a fotografare le "brutture del mondo", anche se il cliché vuole che spesso e volentieri si pensi a questa immagine.

E poi, se fotografo anche il positivo, anche la vita, ho sempre l'occasione di vendere accanto alle foto di reportage anche quelle di viaggio ;-) :-p
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Grazie Fabio di questo scambio. Non capita spesso di riuscire a confrontarsi con sostanza su questioni così intrinseche al concetto di Fotografia.
Un abbraccio.
Carla
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@Carla

È stato un piacere anche per me Carla :-))
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