... Maurizio Moroni

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lucy franco lucy franco   Messaggio 1 di 66
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Scopriamo questa settimana la fotografia di Maurizio Moroni (UKPhoto) , maestro di un modus che ha radici dalla cinematografia alla letteratura. La sua cultura davvero impressionante si tradurrà per noi in un discorso straordinario per esperienza, corredato dalle sue immagini particolarissime, che rappresentano il top di un genere fotografico difficile, ma oltremodo suggestivo.
E, attraversando le sue parole, incontreremo anche una amica di nome Annie Leibovitz….

D -- Leggo nel tuo profilo: “ Collaborazioni con scrittori e pedagoghi ci hanno immerso in un'indagine interdisciplinare a 360° sulla commistione di tecniche creative portando alcuni di noi a specializzarsi in Inspirational pictures, branca nella quale la fotografia si fonde alla grafica per esplorare i confini della fantasia.” .

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lucy franco lucy franco   Messaggio 2 di 66
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interessantissimo saperne di più
lucy franco lucy franco   Messaggio 3 di 66
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R -- Sai che rileggendola nella tua domanda mi rendo conto, non per la prima volta, che in effetti la presentazione è un po’ pomposa e questo giustifica il fatto che, difficilmente, anche i più temerari arrivino fino in fondo alla lettura… A mia discolpa posso dire che la stesura non è totalmente opera mia essendo stata pensata a tavolino con gli amici/colleghi inglesi.
Occorre premettere che commistioni tra grafica e fotografia esistono da sempre cosi come le azioni post scatto che in epoca analogica avvenivano direttamente in camera di sviluppo quindi quelle che oggi chiamiamo inspirational pictures, nella smania di etichettare ogni sottogenere, non sono certo invenzione dell’epoca digitale tanto che alcune di esse, a tema fantasy tanto per cambiare, furono causa di una interessante disputa addirittura tra Harry Houdini e Sir Arthur Conan Doyle… 
Si può dire che le inspirational pictures sono realizzazioni che, nel loro intento nativo, sovvertono parzialmente il concetto fotografico di base. Una foto è di solito scattata per essere fruita tal quale, diciamo come prodotto finito… che si tratti di foto divulgative, semplice espressione estemporanea o frutto di una progettazione sono però, fatte salve correzioni tonali o di dimensione, il risultato finale di un processo creativo. Le inspirational invece, sono immagini la cui parte fotografica è realizzata come starting point per un’interazione multimediale e/o interdisciplinare. La foto quindi si va a fondere con elementi pittorici, grafici o ancora fotografici di diversa origine per poi essere inserita in un contesto letterario, sociologico e via dicendo. Di fatto, costituisce il nucleo di realtà su cui si possono tessere tutta una serie di trame che appaiono di conseguenza maggiormente “credibili”.
Lo scrittore Isaac Asimov (che non dimentichiamo era un biochimico a cui persino Piero Angela dichiarò di essersi ispirato in ambito di divulgazione scientifica) ripeteva spesso che la migliore fantascienza è quella che si basa su elementi conosciuti e familiari, in modo che lo sconfinamento nella fantasia venga percepito se non come realistico almeno in un certo senso logico.
lucy franco lucy franco   Messaggio 4 di 66
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In effetti i maggiori fruitori di questo tipo di artwork sono gli scrittori che, pur avendo ben chiara la trama della narrazione, hanno difficoltà a creare character non ripetitivi per aspetto e personalità. L’inspirational, in questo caso, ricrea le ambientazioni del racconto lasciando che un “attore” vi si muova all’interno come su un palcoscenico, a seconda delle proprie percezioni e personalità.
Attore tra virgolette, perché in generale si tratta di persone normalissime a cui viene posta la fatidica domanda: “come ti comporteresti se…” e consegnato uno storyboard, lasciando poi che il metodo Stanislavskij faccia il resto. Ne esce un insieme di risposte emozionali atte a tracciare un profilo psicologico che può essere ritagliato e fatto indossare al protagonista del racconto.
Ovviamente poi le immagini possono divenire o meno parte integrante del racconto.
Proprio per quanto sopra, allo stesso modo, alcuni mesi fa ho realizzato uno shooting per una psicologa tedesca, Lorena Thust dove, in questo caso, l’introduzione di elementi selezionati e la costruzione di situazioni appropriate viene usato come base di valutazione e dibattito con il paziente un po’ come avviene con le classiche macchie di Rorschach.
Si potrebbe dire che si tratta dell’evoluzione avanzata delle foto per artisti da cui disegnatori e scultori copiavano le anatomie.
Inutile dire che esiste anche un uso più personale di questo tipo di foto dove trova realizzazione la semplice voglia di vedersi in una fiaba, nei panni della damigella, della regina, dell’intrepido cavaliere o dell’affascinante vampiro…cioè di essere protagonisti di qualcosa che la quotidianità ci nega…
In questo caso, il soggetto diviene ancor più l’assoluto protagonista e il risultato finale è focalizzato sui suoi interessi sublimando e materializzando il suo bisogno di fuga della realtà anche solo per quell’istante. Naturalmente in questo caso anche la multimedialità è studiata in modo tale da sottolineare un racconto ritagliato sul protagonista della foto.
Un mito metropolitano da sfatare è che queste immagini siano un mero esercizio grafico in quanto la fase iniziale fotografica gioca un ruolo fondamentale sulla riuscita dell’elaborazione finale.
Tecnicamente, molto poco si può lasciare al caso proprio perché la recitazione e la libera interpretazione sono l’aspetto fondamentale della scena ritratta.
Detto così può apparire un’affermazione ossimorica… ma tutto è più chiaro se si ha presente il processo creativo pensando che ad esempio lo shooting con modello/a è eseguito in Chroma Key e già questo comporta diverse attenzioni particolari a partire dalla fase di allestimento luci. La fase grafica richiede ad esempio che il soggetto risulti il più definito possibile, senza ombre pesanti o bruciature da luce in quanto andrà ambientato in una serie di backgrounds che possono avere caratteristiche anche molto discordanti l’uno dall’altro. Ma il soggetto sta recitando e le pose non sono statiche come accade in altri generi, tendendo più al gesto plastico quindi per facilitare un’ambientazione realistica e un ritaglio “dolce” il soggetto non deve proiettare ombre o comunque esse devono essere molto circoscritte e lo stesso deve valere anche per tutti gli oggetti di scena. La colorazione ed il materiale dello schermo di sfondo sono un’ulteriore variabile da tener presente in fase di scatto: il verde in particolare costringe a valutare attentamente le distanze e il ritorno di luce onde evitare che il soggetto assuma una sfumatura verde Kermit, molto fantasy ma poco piacevole da lavorare. 
lucy franco lucy franco   Messaggio 5 di 66
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In questa prima fase di programmazione e settaggio rientrano anche condizioni estemporanee come la carnagione della modella che ovviamente richiede una luce ben precisa per essere valorizzata o la natura dell’abito. Nel fantasy si va dal broccato al velluto, dalla seta alla pelle… e nello stesso set possono essere presenti tutti. Scattare con luci sbagliate potrebbe cancellare in un istante particolari e dettagli che erano stati scelti attentamente per arricchire la scena con tanto di ira funesta del/la stylist... il che non è mai raccomandabile.
Queste precauzioni potrebbero sembrare sovrabbondanti nell’ottica di una post produzione ambientativa come quella fantasy ma posso assicurare che sono assolutamente indispensabili. Capita infatti a chi non si sia mai cimentato con programmi di fotomanipolazione, quali photoshop o di averli usati al massimo per piccoli interventi, di credere che siano una sorta di panacea a qualunque errore di scatto, una sorta di bacchetta magica capace di qualsivoglia miracolo. Purtroppo non è così, innanzi tutto perché una qualità che non c’è non si può creare a meno di non voler comporre la persona ex novo modello novello Frankestein ma a questo punto si perderebbe tutto il significato di questo tipo di immagini o di qualunque foto a voler essere sinceri. In generale una foto brutta genera un brutto artwork, richiedendo per di più tempi infiniti di lavorazione per tentare di porre rimedio, per quanto possibile, a quanto uscito dalla fase fotografica con risultati spesso esilaranti come arti che scompaiono o si moltiplicano, ambienti ed oggetti colpiti da effetto Dalì, pelle di cera e via dicendo.
lucy franco lucy franco   Messaggio 6 di 66
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D -- Quanta parte della tua passione per questo stile fotografico, la digiart con contenuto fantasy, è per te fuga da una sofferenza, alla quale come medico devi fare fronte ogni giorno?

R -- Faccio una breve premessa: io sono un ricercatore, il che mi mette nei confronti della persona che ha contratto la malattia in una posizione, se vogliamo più scomoda, rispetto ad un dottore.
Quando entri in contatto con i pazienti, il medico è percepito come, giustamente, l’ultima ancora di salvezza che eroicamente si batte contro il male con le poche armi che ha a disposizione mentre il ricercatore è guardato con sospetto perché è quello che dovrebbe fornirgli le armi per aiutarli e non lo fa o almeno non efficacemente come dovrebbe.
Vedere quelle preghiere quando ti chiedono se ci sono novità, intendendo nuove scoperte risolutive, come se questo potesse avvenire in giorni invece che in anni e la delusione o peggio l’accusa quando tenti di spiegare una realtà che pochi conoscono o capiscono a fondo a causa di un informazione che si occupa di scienza quasi sempre in modo sensazionalistico, ovviamente fa male ma come spiego anche ai miei studenti e ricercatori, è il più grande stimolo che abbiamo per affrontare quegli ostacoli che non poche volte fanno dire il fatidico “ma chi me lo fa fare?”.
Quei visi e quella speranza di chi non ha più nulla da perdere è la migliore risposta ed incentivo che si possa trovare nei momenti di scoramento.
Premesso questo per inquadrare la domanda, potrei dirti che la risposta sarebbe al contempo si e no…
Mi sono trovato spesso ad aver a che fare con i bambini, prima come accompagnatore in gite, volontariato con piccoli degenti e oggi anche come zio di due splendidi nipotini e ovviamente non c’è nulla che li attiri come una fiaba o una storia.
I bambini di oggi però sono particolarmente esigenti perché spesso trattati anzitempo da piccoli adulti e quindi per catturare la loro attenzione occorre qualcosa che possa competere con il rutilante mondo televisivo… cosa c’è di meglio di vedersi, letteralmente, loro stessi protagonisti della fiaba che si sta narrando?
Come poi dicevo prima, il concetto di “bambino” è più ampio del semplice fatto anagrafico e bambino è anche colui che trova ancora in se il bisogno di emozionarsi con cose semplici… come la generazione attuale a cui fanno di tutto per rubare il futuro.
Quindi si, può essere visto come una sorta di fuga, cominciata comunque prima del mio lavoro attuale ma io la vedo anche come un rifugio alpino, un posto dove fermarsi un po’ a riprender fiato prima di riprendere la salita.
lucy franco lucy franco   Messaggio 7 di 66
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D -- Tu vivi negli Stati Uniti : spazi, musei, scuole di fotografia…grande attenzione dedicata alla fotografia, e grande il gap culturale che separa l’Italia da queste realtà. E’ prevedibile un riavvicinamento di distanze , secondo la tua esperienza ?

R -- Tentare una risposta a questa domanda significa camminare pericolosamente in bilico tra retorica e polemica e affrontare argomenti scomodi che come puoi immaginare potrei riproporre tal quali anche per la ricerca in un triste parallelismo.
Parlare della mancanza di attenzione da parte del comparto pubblico sarebbe come sparare sulla croce rossa quindi vorrei lasciare da parte le cause troppo evidenti e analizzare altre problematiche maggiormente sociali che non consentono di raffrontarci al resto delle realtà internazionali, almeno ovviamente nella mia personale esperienza.
Vedi, Stati Uniti a parte, ho vissuto praticamente in mezzo mondo. Il mio lavoro base mi ha portato a confrontarmi con le realtà all’avanguardia per costruirmi un bagaglio che mi consentisse di approcciarmi ai problemi in maniera innovativa e, trovandomi a vivere anche lunghi periodi all’estero (Germania, Inghilterra, Francia, Giappone), ne ho approfittato per approfondire anche il discorso fotografico tanto dal punto di vista tecnico che da quello dei vari filoni comunicativi e di tendenza.
Quello che è un trend d'union dal Giappone alla Germania passando per gli Stati Uniti è la grande apertura mentale con particolare attenzione ai giovani, cosa che io in Italia purtroppo non vedo. E non stiamo parlando solo di stato ma anche e soprattutto di privato. Con talent scout, corsi di formazione e approfondimento, workshop formativi e via dicendo.
lucy franco lucy franco   Messaggio 8 di 66
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Proprio la fotografia sta vivendo, grazie alle nuove tecnologie ed alla diffusione del digitale un fermento comunicativo. I giovani stanno scoprendo un mondo di tecnologia a relativamente basso costo che consente loro di esternare e raffigurare la propria visione della vita in questo momento particolare ed intavolare una discussione per immagini.
Guardandomi attorno, vedo che a Tokyo due mesi fa, ben più della metà delle numerose gallerie della città esponevano opere di autori under 40 emergenti, magari affiancate da grandi nomi o autori più conosciuti seppur rimanendo a livello amatoriale, che fungano da traino. Al Tokyo Metropolitan Museum of Photography, accanto alle permanenti di mostri sacri come Takeji Iwamiya, Akira Komoto o Hisae Imai (con i suoi splendidi cavalli) si poteva trovare un’ampia gamma di temporanee che spaziavano dallo street al surrealismo, dalla fotografia naturalistica al fashion e tutte rigorosamente di giovani sconosciuti o quasi.
Da noi noto una sorta di istinto di conservazione del preesistente che tende a disincentivare le nuove leve tramite una critica distruttiva spacciata per schiettezza. Spesso gli autori, affermati o auto ritenutisi tali, si ammantano di una supponenza intellettuale autoreferenziale che li porta ad isolarsi in bolle in cui può entrare solo chi presenta una forma mentis clonata, di fatto bloccando qualunque naturale forma di evoluzione.
Questo ovviamente finisce per allontanare chi si vorrebbe approcciare a questo mondo.
Altro atteggiamento disincentivante e la quasi totale mancanza di possibilità di didattica extrascolastica di settore.
lucy franco lucy franco   Messaggio 9 di 66
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Anche i workshop, che normalmente all’estero costituiscono validi bacini di apprendimento ed approfondimento, si dimostrano, in Italia, nella grande maggioranza solo model sharing atti ad appagare chi vuol mostrare agli amici foto con modelle disinteressandosi della qualità.
Tutte queste caratteristiche finiscono per far apparire ai più la fotografia colta e consapevole come un fenomeno elitario da cui sono automaticamente esclusi tutti coloro che non rientrano in determinate sub routine e questa sensazione allontana coloro che, innovativi, non si sentono a loro agio negli ambienti di pseudo elitarismo ove sembra vigere la sindrome dei “Vestiti nuovi dell’imperatore” di Anderseniana memoria.
Il problema che ne consegue è che queste impressioni arrivano anche ai grandi sponsor, Canon e Nikon in testa che finiscono per prediligere manifestazioni estere a cui sono presenti molto più massicciamente e con iniziative maggiori a quelle messe in atto negli ambienti nostrani. Ed in uno stato dove ci sono pochi finanziamenti pubblici, allontanare quelli privati è decisamente deleterio.
Ci tengo a rimarcare che, ovviamente, questo mio discorso, oltre a nascere da una mia esperienza personale e quindi da una visione personale, non vuole abbracciare in nessun modo la totalità del panorama italiano! Io stesso conosco persone e realtà locali che promuovono eventi fotografici senza pregiudiziali o organizzano workshop caratterizzati da un’elevata qualità tecnico organizzativa… va da se però che io le percepisco come una stretta minoranza e che attualmente se un giovane vuole avere una possibilità di mettersi alla prova deve affacciarsi per forza al mercato estero dove per altro, anche in ambito fotografico, come in tanti altri, sappiamo farci valere.
Nonostante tutto questo, io sono ottimista e credo che il gap che ci separa dalle altre nazioni sia recuperabile anche grazie ad Internet. Luoghi come Fotocommunity, consentono ai giovani di avere un’esposizione internazionale e al contempo i contest e i project proposti nelle varie sezioni internazionali permetteno loro di confrontarsi con autori di maggiore esperienza e punti di vista. Io penso che questo potrebbe far nascere una nuova consapevolezza e quindi conquistare nuovi spazi… d’altro canto dopo ogni epoca buia c’è un Rinascimento no?
lucy franco lucy franco   Messaggio 10 di 66
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D -- C’è un’influenza che potresti definire squisitamente americana nella tua fotografia?

R -- Poco fa, mentre pensavo a questa domanda ho appreso la notizia della scomparsa di Carlo Rambaldi, genio degli effetti speciali di cristallina inventiva italiana prestata ad Hollywood e che viene a cadere proprio nel trentennale di una delle sue creature più famose: E.T. l’Extraterrestre.

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La produzione americana nel campo dell’immagine e della fotografia è tanto ampia che è difficile riuscire ad isolare un’unica influenza o anche una classe isolata. Quanto accaduto però ha attivato una bizzarra serie di associazioni mentali che mi ha portato a pensare ad una categoria spesso sottovalutata e cioè quella del direttore della fotografia cinematografica. Avendo avuto la fortuna di partecipare ad alcuni set per grandi produzioni internazionali (al castello di Durham sono state girate alcune scene di Harry Potter tanto per fare un esempio) mi sono trovato ad apprezzare molto il lavoro di questi artisti spesso sottovalutati e misconosciuti ma da cui deriva in gran parte il successo di un film.
lucy franco lucy franco   Messaggio 11 di 66
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Ancora una volta parliamo di una fotografia non convenzionale dato che non abbiamo un’immagine statica racchiusa in un unico scatto bensì una situazione che si modifica attraverso una sequenza (quello che fanno infondo le moderne reflex capaci di realizzare filmati se vogliamo semplificare) ma di fatto un direttore della fotografia occupandosi della composizione dell'inquadratura, la disposizione delle luci, il controllo dei movimenti della macchina da presa, le scelte stilistiche sull'angolo di ripresa e la scelta dell'obiettivo, così come il piano di messa a fuoco, l'apertura del diaframma per l'esposizione voluta, la distanza e la profondità di campo, con in più l'attenzione al movimento di attori e macchina da presa coordinato perché risulti in luce o in ombra secondo il senso che si vuole dare alle immagini e d'accordo con il desiderio del regista, per tutta la durata dell'inquadratura… a tutti gli effetti si occupa di molti degli elementi tecnici di base tipici della fotografia tradizionale e dell’inspirational pictures che a sua volta molto copia dalla recitazione teatrale/cinematografica
Alcuni nomi la cui influenza si nota nettamente, seppure con molta umiltà e a ben altro livello, nei miei lavori sono Gilbert Taylor e John Alcott
A voler essere precisi entrambi sarebbero inglesi ma il primo è stato pur sempre direttore della fotografia di Star Wars di George Lucas, capace di rendere epica qualunque inquadratura con un abile gioco del campo mentre il secondo ha visto indissolubilmente legata la sua fama alla collaborazione con Stanley Kubrick costruendo visioni oniriche e acide di lucida follia come in Arancia Meccanica o Shining oppure poetiche come in 2001 Odissea nello spazio o Barry Lyndon.
Soddisfare registi maniacali come Lucas ed ancor più Kubrick non è cosa semplice specie riuscendo a mantenere una propria impronta.
Una menzione anche a Allen Daviau, visto che poco fa parlavo di E.T., legato a Steven Spielberg e capace di creare visioni di grande impatto emotivo dove la poesia si gioca sulle luci e ombre che puntuali esaltano la scena ed i suoi protagonisti ma anche sui tagli stretti delle loro espressioni.
Inutile dire che abbiamo grandissimi nomi in questo campo anche tra gli italiani quali Vittorio Storaro o recentemente Mauro Fiore che ha vinto l’oscar per la fotografia con Avatar di James Cameron …
Ecco, io penso che quella di guardare alla fotografia in modo dinamico e recitato sia una caratteristica che gli americani hanno sentito particolarmente fino a razziare i talenti che potessero soddisfare le loro necessità in giro per il mondo e che noi, in patria, con il tempo abbiamo invece perso lasciando che altri sfruttassero anche i nostri talenti in cambio di una visione più statica e desaturata della rappresentazione vitae.
lucy franco lucy franco   Messaggio 12 di 66
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D -- Quale la tua fotografia che consideri un punto di svolta?

R -- Pensandoci, mi viene subito in mente Loneliness che ha di fatto segnato l’inizio della mia sperimentazione digiart:

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Nel 2008 ero impegnato in un progetto in collaborazione con Destiny Elliot, una scrittrice affiliata al nostro circolo culturale. Lo storyboard riguardava un racconto in stile Robert Louis Stevenson con la tipica contrapposizione bene/male innata nell’animo umano e lo scienziato incapace di accettare la sua parte emotiva considerata un intralcio alla carriera che tenta di estirparla radicalmente. Ovviamente il racconto, dopo l’incidente di routine che decreta l’apparente fallimento del progetto, evolveva fino a costringere lo scienziato a prendere atto che la sua avversione ai sentimenti era legata alla percezione dolorosa della propria solitudine derivante dalla totale abnegazione al lavoro. Gli scatti ambientati in laboratorio non erano stati ovviamente un problema ma la ricostruzione di un set che permettesse di dare corpo alle visioni oniriche in cui la scienziata si perdeva negli stati di veglia era decisamente più complicato.
Parzialmente mi ero lasciato influenzare dalle idee embrionali di Destiny che immaginava le solite visioni sfocate, mossi in bianco e nero ed avevo tentato di accontentarla… ma la recitazione di Cristina (Kriss) era stata così intensa ed emozionante che mi sembrava un delitto nasconderla e deformarla.
L’anno precedente avevo avuto modo di conoscere la fotografa Annie Leibovitz partecipando ad un suo set ed ero rimasto folgorato dalla sua capacità di scattare per poi completare l’ambientazione in grafica. Quello che riusciva a creare era semplicemente pura magia. Emularla avrebbe potuto essere interessante in questo caso specifico ma devo ammettere che i miei tentativi di uso di Photoshop ad un livello avanzato, fino a quel momento, non erano mai stati molto convinti. Fatto sta che non arrivando risultati che soddisfacessero la mia idea della scena mi convinsi. Avevo questa foto di una foresta invernale che traboccava di melanconia e solitudine come un subconscio ferito e la posa di Kriss che sembrava raggomitolarsi su se stessa in posizione fetale quasi a sfuggirle e proteggersi. Metterle assieme è stato quasi automatico. Il risultato ha colpito e commosso Destiny e devo ammettere anche me.
Quel primo lavoro vinse diversi riconoscimenti internazionali e, inutile dirlo, altrettanta qualità non fu assolutamente bissata dai lavori successivi che anzi mi apparivano decisamente grezzi.
Però ogni avventura deve cominciare con un primo passo e il cammino è decisamente cominciato lì! 
lucy franco lucy franco   Messaggio 13 di 66
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D -- C’è qualche fotografo in particolare che consideri un tuo maestro?

R -- Sicuramente Annie Leibovitz, la signora della fotografia mondiale che ho la fortuna di poter chiamare maestra tanto come fonte d’ispirazione che di fatto: come dicevo, ho avuto la possibilità di conoscerla durante le sue campagne fotografiche per la Disney e avere l’onore di trovarsi su un suo set vale più di qualunque corso di fotografia.
Non so se il suo nome dica molto in Italia visto che è una persona schiva e riservata ma certo le sue foto parlano per lei. Io penso che pochi non abbiano mai visto la foto di John Lennon nudo, che abbraccia Yoko Ono, scattata nel 1980 la mattina prima che fosse ucciso da Mark Chapman.
Classe 49, ha scattato 13 anni per la rivista Rolling Stone e poi come ritrattista per Vanity Fair, collaborando con brand del calibro di American Express, Disney e via dicendo.
Si tratta di una fotografa che in primis è una persona eccezionale dal grande spessore umano e che caratterizza la sua fotografia con un rapporto profondo con il soggetto da ritrarre che si trova a suo agio anche nelle situazioni più assurde ed improbabili.
Vedere gente come Alec Baldwin, Jennifer Lopez o Roger Federer, tanto per citare solo tre nomi tra i tanti ritratti da lei, atteggiarsi come i protagonisti dei cartoon Disney è esilarante e sui set c’è un clima famigliare e caldo che rende ogni attimo intenso e divertente.
Ammetto che è un atteggiamento emotivamente coinvolto e coinvolgente, come lei stesso lo definisce, che mi si confà molto e che ho sempre tentato di ricreare anche sui miei set e devo dire che è proprio quelli dove vi riesco che poi portano ai risultati migliori.
Per altri nomi, citare David LaChapelle è anche fin troppo facile, il suo surrealismo onirico e spumeggiante, la sua maniacalità sui set lo rende una continua fonte d’ispirazione sia tecnica che creativa… e poi Elena Kalis la regina dell’Underwater, capace di ricostruire qualunque situazione in versione subacquea…Man Ray ed il suo surrealismo.
Potrei citare molti altri con cui a diverso livelli ho potuto avere contatti formativi ma nessuno ha lo spirito contagioso di Annie Leibovitz a parte forse Shōji Ueda il grande maestro del surrealismo fotografico giapponese mancato nel 2000… ma cominciare a parlare di lui significherebbe aprire un’enciclopedia… e dubito che qualcuno reggerebbe… 
lucy franco lucy franco   Messaggio 14 di 66
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D -- Ti è capitato talvolta di aver fatto fatica a conciliare la tua formazione scientifica , infatti sei un oncologo, con l’oggetto delle tue fotografie, quasi sempre ispirato a leggende , favole tipiche di una letteratura fantasy di cui la digiart sembra essere la versione fotografica ?

R -- Qui posso rispondere di getto anche se la risposta potrà stupire ma in tutta sincerità posso dire di no , anzi io trovo che le due cose siano sinergiche.
Lo so che può suonare strano per quanto appaiano contrapposte le due attività ma occorre ricordare che la ricerca per avere successo ha bisogno di una dose non indifferente di fantasia. Senza si finisce per percorrere ossessivamente strade già battute che non portano a nulla, un po’ come criceti che corrono sulla ruota delle proprie convinzioni. Il coraggio di immaginare qualcosa di nuovo, seppure supportato da solide basi tecniche, è la chiave di ogni progresso. Quello che ho notato spesso è che chi vive esclusivamente in un “mondo” tende ad irrigidirsi e fatica ad uscire dai canoni che ha fatto suoi nell’unica realtà che affronta quotidianamente. Hobby in cui fantasia e creatività siano fondamentali aiutano la mente a rimanere aperta e reattiva.
Ovviamente il mio è tutt’altro che un caso isolato e vi sono esempi ben più aulici: non dimentichiamo che Newton era un maniaco dei soldatini, Einstein era un discreto violinista, non parliamo di Leonardo e via dicendo. Alcuni validissimi professionisti in campo scientifico e tecnico, sono altrettanto validi giocatori e master di giochi di ruolo.
Al contempo se ribaltiamo il punto di vista e pensiamo al digiart, come dicevo prima parlando della tecnica, tanto nella sua fase fotografica che successivamente, richiede controllo, attenzione e accurata pianificazione, tutte caratteristiche che fanno abbondantemente parte del bagaglio di una formazione scientifica.
Alla fine quindi le due attività si aiutano vicendevolmente.
Detto tra noi poi la formazione scientifica ha anche un altro vantaggio, diciamo così, di facciata: se un qualunque adulto si occupa di certe cose viene quanto meno etichettato come infantile o affetto da sindrome di Peter Pan ma se lo fa uno scienziato è solo, bonariamente, un tipo originale… quindi perché non approfittarne dato che è uno dei pochi benefit della professione? 
lucy franco lucy franco   Messaggio 15 di 66
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D -- Prossimo progetto fotografico in agenda?

R -- Oltre al tentativo di soddisfare le tante richieste di tfcd perennemente in arretrato, professionalmente parlando due. Il primo riguarda il cinquantenario del personaggio televisivo Doctor Who, il telefilm surreal fantascientifico della BBC che cadrà l’anno prossimo e per il quale mi sono state commissionate dal network inglese una serie di cartoline che verranno distribuite durante i vari atti della celebrazione. Si tratterà di set con gli attori protagonisti delle ultime stagioni del telefilm come David Tennant, Matt Smith e Karen Gillian, ovviamente ambientati nelle situazioni tipiche che hanno reso il telefilm un cult ben oltre i patri confini (inutile dire che solo in Italia è semi sconosciuto!).
Il secondo riguarderebbe un “Best Of” di miei scatti che da una vita un amico editore vorrebbe pubblicare… io continuo a selezionare foto e crearne di nuove, ma non trovando mai il tempo di redigere il testo, temo resterà un progetto “attuale” ancora per un bel po’!




Grazie a Maurizio Moroni, e alla sua rara capacità di modulare concetti e riflessioni di grandissimo spessore, in un percorso di lettura deliziosamente piacevole, che proseguirà ancora attraverso le vostre domande.

Nel prossimo appuntamento una donna dalla eclettica comunicatività, ci parlerà della sua fotografia , figlia, come lei di una terra di nebbie e brina : “…dò quasi una specie di personificazione agli elementi che mi stanno attorno, ci parlo con loro, li ascolto, li abbraccio, li accarezzo, tutto quello che trovo in natura lo ritengo un dono meraviglioso e sento dentro di me come un’urgenza di segnare le stagioni che passano con la mia macchina fotografica, quasi come in un album di vita e passaggi da sfogliare quando sarò vecchia…”

Intimismo e velata malinconia che si rifletteranno nelle sue immagini, come nelle sue parole.
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