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Progetto "Foto&Racconti": L'uomo con il trench (Torrisi-Pettazzoni)

Progetto "Foto&Racconti": L'uomo con il trench (Torrisi-Pettazzoni)

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Progetto "Foto&Racconti": L'uomo con il trench (Torrisi-Pettazzoni)

L'uomo con il trench

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http://www.francescotorrisi.com/Foto&Racconti/Pettazzoni_Torrisi_L_uomo_con_il_trench.pdf

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Fotografia di Arnaldo Pettazzoni
Racconto di Francesco Torrisi
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Forse li aveva fregati uscendo dal vagone della metro così all'improvviso, una stazione prima del dovuto. Quella per l'ambasciata era la fermata successiva e loro lo sapevano. Ma se la loro professionalità fosse stata all'altezza della loro fama, così come lui immaginava che fosse, avrebbero comunque coperto sia l'uscita giusta che la stazione precedente quanto la successiva. Il suo stratagemma sarebbe stato quindi inutile. Loro sapevano chi era o, meglio, cosa rappresentava, ma soprattutto cosa aveva con sé che avrebbe dovuto consegnare in ambasciata. Troppe vite dipendevano dalle informazioni in suo possesso. Quando varcò la fine del tunnel riemergendo fuori all'aria aperta, ebbe la prova che il suo dubbio era purtroppo una certezza. Fu un semplice riflesso su una vetrina accanto all'uscita della metro a dargli quella conferma. Il suo sguardo allenato vide la coppia seduta tra le tante nei tavolini del bistrot di fronte, ma soprattutto vide i loro occhi guardarlo mentre avrebbero dovuto essere puntati altrove, o su loro stessi come una normale coppia di giovani avrebbe dovuto fare, oppure, al limite, sui loro cocktail. Uno sguardo dell'uomo o della sola donna che vagasse intorno ad osservare i passanti poteva essere considerato una coincidenza. Quattro occhi puntati addosso erano una coincidenza difficile da credere almeno per lui, in quel momento e in quel luogo. E con quello che doveva consegnare.
Memorizzò in automatico, così com'era stato addestrato a fare, non tanto i visi, impossibili da ricordare con solo una frazione di secondo a disposizione, ma i colori dei loro vestiti. Le cromie e le forme degli abiti si fissarono immediatamente nella sua memoria e quelli avrebbe cercato nei successivi minuti tra il flusso di gente che avrebbe incrociato o che lo avrebbe seguito lungo la strada fino all'ambasciata. Si concentrò sul freddo e duro ingombro che aveva sotto l'ascella sinistra per trovare un attimo di conforto. La sua pistola era lì nella fondina, pronta all'uso e col colpo in canna. Niente sicura, così come l'esperienza maturata in decine di azioni gli suggeriva di fare. Non si era mai sentito in giro che una spia fosse morta per essere stata colpita da un proiettile esploso accidentalmente dalla sua stessa pistola mentre alzava un braccio per chiamare un taxi o mentre apriva una porta di un ristorante. Molte invece erano le storie sussurrate nei corridoi del suo ufficio, di agenti che erano morti per non essere riusciti a sparare per primi.
Entrò nel negozio accanto alla vetrina dove aveva visto il riflesso di quei due. Girò tra i vari reparti sino ad uno che gli permettesse di osservare la strada di fronte. Erano ancora lì, l'uomo si guardava in giro svolgendo lo sguardo da destra a sinistra passandolo volutamente anche sull'ingresso del negozio, mantenendo così un campo visivo completo e nello stesso tempo non soffermandosi mai troppo su un unico punto. Questo per non destare sospetti qualora il “soggetto” non si fosse ancora accorto di essere stato individuato e nello stesso tempo per verificare che non ci fossero interferenze che avrebbero potuto aiutarlo; bastava un autobus che si fosse fermato davanti a quel negozio e loro avrebbero perso il contatto visivo quel tanto che avrebbe permesso a persone esperte come lui di agire e quindi scomparire. La donna invece era al telefono, dando quasi le spalle al negozio e guardandosi le punte delle scarpe. Non sapeva che espressione avesse mentre parlava, ma pensò che difficilmente stesse sorridendo, se non addirittura ridendo, come durante una normale telefonata ad una amica. Sapeva che stava avvisando il superiore che avevano avuto il contatto. Da lì a poco ne sarebbero arrivate molte altre di simpatiche coppiette come quella.
Non aveva più tempo, vide di sfuggita un trench nero e una cartella da ufficio tra gli abiti esposti nel negozio. Li prese entrambi e si diresse alla cassa. Nei due passi che fece per andare a pagare, aveva già fatto il conto del denaro necessario per l'acquisto e aveva già la somma esatta in mano. Non c'era certo tempo per aspettare il resto. Lasciò in mano alla cassiera i soldi e indossò il trench nascosto dietro una colonna. Sbirciò fuori per vedere dove l'uomo stesse osservando. Vide il suo sguardo passare davanti l'ingresso e valutò in un paio di secondi il tempo utile per uscire e confondersi tra la gente prima che riguardasse l'ingresso del negozio. Quando lo sguardo dell'uomo sarebbe ripassato lì davanti, avrebbe visto solo la porta del negozio che si richiudeva e giusto più avanti un signore con un impermeabile scuro e tanto di cartella camminare un po' curvo come un vecchio, ma alquanto impegnato, uomo di affari. Avrebbero collegato la porta che si chiudeva al vecchio signore? Doveva comunque rischiare. Contava sull'addestramento suo e di quell'uomo seduto al tavolino. Doveva fare di un punto di forza un momento di debolezza da sfruttare a suo vantaggio. Sapeva che, come anche lui avrebbe fatto, cercava un giovane alto con un giubbotto di pelle color testa di moro che camminava con le mani dentro le tasche dei suoi vecchi e scoloriti jeans. Appena uscito sentì lo sguardo dell’uomo passare sulla sua nuca ed andare oltre. Forse si era guadagnato qualche minuto di vitale importanza per poter sparire confondendosi tra la gente. Non sufficienti ad arrivare dritto in ambasciata, ma necessari per permettergli di programmare la mossa successiva.
Percorse altri cinque passi e poi si girò per sbirciare indietro verso l'ingresso del negozio, stando bene attento a voltarsi col viso verso il muro e non verso la strada. Non voleva di certo che notassero che il suo volto era molto simile, se non identico, alla fotografia che tenevano sicuramente tra le pagine del giornale poggiato sul tavolino. Quando il suo sguardo arrivò sino all'ingresso del negozio, la donna nell'elegante tailleur blu vi stava giusto entrando, tenendo sempre il cellulare all'orecchio. Non perse tempo a verificare dove fosse l’uomo, era sicuro che fosse ancora seduto al tavolo a controllare velocemente la gente e poi la strada da un lato all'altro.
Capì che i due minuti che si era dato quale benefico margine di vantaggio, frutto del suo piccolo gioco di travestimento, si stavano drammaticamente dimezzando e persino il primo minuto era da considerarsi pressoché scaduto. Sarebbe stato un gioco da ragazzi per quei due capire che il “soggetto”, ossia lui, non era più in quel negozio e che le uniche tre persone che erano passate lì davanti, da quanto era uscito in strada, erano una mamma con un passeggino, una studentessa con pantacollant di un rosa troppo elettrico e fin troppo avvolgenti e un signore con un trench e una cartella. Avrebbero cercato quest'ultimo inevitabilmente tra la gente e lo avrebbero trovato.
Fu un attimo, una reazione istintiva, entrò nel piccolo vicolo che trovò miracolosamente tra due vetrine e cominciò a correre fino alla strada successiva. Quando arrivò alla traversa che tagliava il vicolo a metà, senza smettere di correre, girò a destra l'angolo aggrappandosi con la mano libera della cartella ad un palo che reggeva un cartello segnaletico piantato giusto al vertice dell'incrocio. Era una stradella non tanto grande, ma neanche piccola, una di quelle che servono ai negozi che danno sulla strada principale per ricevere la loro merce in tranquillità senza bloccare il traffico. Appena girato l'angolo impugnò la sua pistola. Camminò velocemente smettendo di correre, non poteva distrarsi e doveva guardare se qualcuno lo stesse seguendo. Se voleva salvarsi e voleva salvare tutta quella gente, doveva sparare per primo.
Era bravo con la pistola, ma non così bravo da centrare il bersaglio correndo e soprattutto dandogli le spalle. Camminò strisciando le spalle al muro e puntando la pistola sul palo in cui si era aggrappato un attimo prima. Bloccò il respiro quando sentì passi di corsa giungere dalla traversina che aveva appena percorso. Si accostò ancor di più al muro mentre con la mano sinistra lo tastava per anticipare eventuali ostacoli. La mano era i suoi occhi per camminare, mentre quelli veri gli servivano invece per salvarsi la pelle, fissando il palo attraverso il mirino della sua pistola. La sua mano ad un tratto perdette il contatto con il muro annaspando nel vuoto giusto quando i passi di corsa si fecero sempre più forti e vicini. C'era una rientranza nel muro e vi si appiattì cercando di sembrare il più possibile simile ad una sogliola, ma soprattutto, per essere silenzioso come quel pesce, smise perfino di respirare. Istintivamente portò la mano destra che impugnava la pistola accanto alla sua faccia per nasconderla alla vista di chi avesse guardato dal suo lato, ma comunque pronta a scattare in avanti all'occorrenza. Sentì i passi incredibilmente vicini rallentare per una piccola frazione di tempo. Anche gli inseguitori erano giunti all’incrocio con la stradella che dava sul retro dei negozi. Inspiegabilmente fecero il loro più grande errore da spie, che gli salvò però la vita. Se non ad entrambi, almeno sicuramente ad uno di loro. La coppia di inseguitori invece di dividersi nelle due differenti direzioni riprese a correre insieme lungo la traversina senza voltare nella strada dove lui si era acquattato poco distante pronto a sparare. Si rese conto che in quel vicolo le vite salvate erano tante di più. Forse, oltre la sua o quella degli inseguitori, questo piccolo ma fortunoso errore avrebbe salvato la vita di migliaia di innocenti. Chiuse gli occhi e tirò un sospiro di sollievo e di speranza.
Quando sentì la serratura della porta di fronte a lui scattare aveva ancora gli occhi chiusi e nel momento in cui li riaprì vide la porta spalancarsi. Forse non erano stati solo gli inseguitori ad aver commesso un errore fatale. Una ragazza apparì sull’uscio emergendo dal buio del retro del negozio. Si stava guardando la sigaretta che teneva tra le labbra mentre cercava di accenderla nervosamente con un riluttante accendino che teneva con entrambe le mani. Finalmente l'accese, diede una decisa tirata, soffiò una nuvoletta di fumo ed alla fine alzò lo sguardo. E lo vide.
A pensarci adesso, gli viene da ridere solo immaginando quello che quella povera ragazza si trovò giusto a tre metri di fronte a lei. Un uomo, in pieno giorno, inspiegabilmente con un trench nero come la notte, che stringeva con una mano una cartella altrettanto nera come la notte e con l'altra una pistola, neanche a dirsi, nera anch'essa come la notte. Gli occhi della ragazza parevano riuscire a fissare solo l'azzurro intenso dei suoi occhi. L'unico colore che valeva la pena di essere guardato in quel vicolo grigio e sporco, l'unico colore che potesse darle un minimo senso di speranza che quella non fosse una giornata nera e tetra come la notte.
Lui sapeva benissimo che il suo più grosso difetto fisico, per uno che fa il suo mestiere, era la sua bellezza sconvolgente.
Un'arma inutile per suo lavoro e comunque raramente utilizzata contrariamente a quello che si possa pensare. Le spie che grazie al loro charme ottengono ciò che vogliono esistono solo nei film. Una vera spia sopravvive perché è bravo e non certo perché è bello. Anzi, l'arma migliore della spia è quella di saper scomparire in mezzo la gente. Lui, nonostante tutto, era più che cosciente delle occhiate che lo investivano letteralmente e costantemente dovunque andasse, e se da giovane ne aveva più che approfittato, cominciando a fare il suo lavoro, la sua bellezza era diventata una maledizione. Era costretto a celare il più possibile la forza impattante che il suo aspetto aveva sugli altri, e soprattutto sulle donne. Spesso riusciva a nascondersi dietro vecchi e storti occhiali da sole, barbe incolte, capelli arruffati e dentro ampi e sformati vestiti senza stile. Quello però era un momento in cui si era trovato totalmente impreparato e senza il suo solito travestimento standard che lo facesse scomparire tra la gente. A quanto pare, anche la ragazza era stata colta impreparata dal suo sguardo e dalla bellezza del suo viso. Era più che carina, truccata quel tanto per essere presentabile, con un bel rossetto rosso sulle labbra carnose che risaltava ancor di più in contrasto al vestito nero che indossava e che la relegava inevitabilmente al ruolo di commessa.
Lei continuò a fissarlo dritto negli occhi restando ferma immobile. Con le sue stupende labbra rosse appena socchiuse, le stesse labbra che giusto un attimo prima stringevano quella sigaretta che ora stava rotolando verso il centro della stradina. Non capì mai se si fosse accorta della pistola che teneva a pochi centimetri dai suoi occhi incredibilmente azzurri. L'abbassò lentamente e la rimise, sempre lentamente, nel fodero. Rimasero entrambi a fissarsi, lei persa nei suoi occhi, lui senza poter distogliere lo sguardo dal rosso del suo rossetto e dalle sue morbide labbra. Passò un tempo indefinibile, per molti probabilmente un attimo, per loro probabilmente un'eternità. Lui fece la prima mossa e lentamente coprì con passi lenti quei pochi metri che lo dividevano dalla ragazza. Quando le fu di fronte, la baciò. Fu per lui un bacio delicatissimo, inspiegabile, ma nello stesso tempo carico di disperazione e di passione. Baciò quella commessa come se fosse l'ultimo bacio della sua vita e la commessa ricambiò quel suo bacio come per ringraziarlo della sua stessa vita. In realtà non seppe mai cosa fu quel bacio per la ragazza e perché lo ricambiò con tanta passione. Si staccò dalle sue labbra rosse socchiuse e se ne andò via senza rivolgerle la parola e senza mai girarsi a guardarla.
Fu un vero miracolo quando arrivò in ambasciata, non certo per merito suo, ma forse più per l’incapacità dei suoi inseguitori. Forse, stando così le cose, li aveva sopravvalutati. Lui, comunque, camminò lentamente con il suo trench nero e la sua cartella nera, ma con uno strano sorriso stampato sul volto. Forse fu quello il travestimento meglio riuscito nella sua vita da spia. Quello dell'innamorato.
Quando varcò il cancello dell’ambasciata, il militare all'ingresso lo stava aspettando già da tempo, ma stranamente lo guardò come se avesse appena visto un fantasma. Anche tutte le persone che lo attendevano ebbero lo stesso guardo stupito stampato sul viso. Li osservò più che contrariato mentre consegnava loro il cd con tutti i dati che era riuscito miracolosamente a portare a destinazione e li relazionava sugli eventi vissuti quel giorno. Raccontò nei dettagli, come lo aspettassero al varco, come stessero per prenderlo e come fosse riuscito a farla franca. Ma non disse nulla della ragazza. Mentre raccontava gli avvenimenti, tutti gli astanti sembravano pendere dalle sue labbra e sembravano osservalo stregati dalle sue parole, anzi, sembravano proprio aspettare che lui articolasse ogni singola parola, attendendo che uscissero dalla sua bocca come un qualcosa di miracoloso, visto il modo in cui lo fissavano.
Tutto questo gli diede alquanto fastidio. Anzi lo fece arrabbiare. Ciò che aveva portato e per la qual cosa aveva rischiato la sua vita era senz'altro più importante di un semplice rapporto sulla missione.
Finito il rapporto uscì e si diresse lentamente in bagno. Era più che contrariato dalla apparente insulsaggine dei suoi superiori. Se avevano bisogno di qualche sferzata di adrenalina con racconti sull’avventurosa vita della spia, di certo non mancavano romanzi che avrebbero potuto leggere tranquillamente a casa per soddisfare la loro curiosità.
Entrò in bagno sbattendo la porta sotto la spinta di un nervosismo incontenibile. Andò diretto ai lavandini e scelto quello più vicino, ci si piegò su appoggiando le mani sul bordo e chiudendo gli occhi per una seconda volta in quello stesso giorno.
Quando si sentì sufficientemente calmo, si rialzò e riaprì gli occhi, si guardò per la prima volta allo specchio da quando era entrato in quei bagni. I suoi bellissimi occhi azzurri passarono dall'espressione di stupore a quella divertita, finendo col sembrare due piccole fessure quando cominciò a ridere in modo incontenibile. Le sue labbra, le sue guance, praticamente una buona parte della sua faccia era piena di quello splendido rossetto rosso delle splendide labbra della commessa.
Ecco cosa guardavano tutti! Chissà cosa sarà sembrata loro la sua vita di spia. Avranno sognato ad occhi aperti avventure mozzafiato dove vita, morte e sesso si intrecciano come nei migliori romanzi di spionaggio.
Se sapessero invece la solitudine. Se sapessero la tristezza di quella vita.
Ripensò a tutto ciò che avrebbe voluto dire e raccontare a quella povera commessa che era rimasta impietrita di fronte a lui. Mentre la baciava avrebbe voluto gridarle cosa provava, come quel bacio l'avesse fatto sentire vivo più dello scampato pericolo. Le avrebbe voluto gridare chi era realmente e veramente...
Guardandosi allo specchio si ripulì di tutto quel rossetto andato sprecato sulla sua faccia, pensando alla ragazza ed archiviando nella sua mente quello che avrebbe voluto raccontarle della sua vita di spia.
Sorridendo disse a se stesso ad alta voce: “Meglio così, se le dicevo chi ero... poi avrei dovuto ucciderla...”.
Sempre sorridendo uscì dal bagno per andare a crogiolarsi degli inevitabili sguardi invidiosi dei suoi colleghi che, da buone spie quali erano, sicuramente sapevano già tutto sul rossetto

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