Temi / .I fotografi del mese

19. Luglio: Mauro Moschitti

Farei a meno di scrivere qualcosa su di me, ma sono obbligato!
Per i cenni biografici ricordo di essere tutt’oggi laureato in pittura dall’Accademia di Belle Arti, di aver avuto la fortuna... di annoverare tra i miei maestri Notargiacomo e Vedova. Se la mente non m’inganna credo di aver esposto in collettive con Schifano, Calabria e Sassu e rammento di aver visto tre mie opere presso il Salone Internazionale di Arte Contemporanea a Bari… tutto questo quando avevo solo vent’anni… poi il buio artistico…
Non ricordo altro, sino a quando una mattina di fine estate di tre anni fa, un giapponese mi dava gentilmente a buon prezzo la sua Sony DSC-R1. E da quel giorno ho iniziato a fotografare, credo per una personale esigenza volta a recuperare quel fare pittorico perduto chissà quanto tempo prima.
Per come la vedo io, credo che nella storia delle arti, e quindi anche nella fotografia, ci siano artisti che nel corso degli anni si caratterizzano per un proprio stile a cui è facilmente riconducibile l’autore e autori che invece preferiscono scarpagnare in lungo e in largo tra diversi campi tematici e soprattutto con modi espressivi diversificati.
Io mi riconosco in questi ultimi. Credo che la sperimentazione e il percorrere nuove strade sia fondamentale per sé e per la giusta evoluzione dell’opera intrapresa. Non potrei farne a meno... diversamente mi annoierei!
Per esempio non mi annoio quando viaggio per scattare un reportage... avventura e sete di sapere, un misto di speranza e timore che sconfina nel desiderio... a Ruweisat come a Scampia, dove ritornerò ad agosto per un nuovo progetto a favore dei bambini delle Vele.
In questi tre anni di produzione fotografica sono stato meravigliosamente ossessionato dai riflessi: perché in essi ogni cosa non si rappresenta ma si interpreta, perché in essi ogni cosa prende forma e t’investe… È come una fiaba, consistente in ostacoli da superare e in circostanze da rilevare, dove il puro incanto di assistere a storie risiede finanche nell’attesa di ciò che si replica su volti, lungo strade e in situazioni molteplici, entro ritmi scanditi da avvenimenti e sensazioni che rimano senza mai uguagliarsi.
E così in questi tre anni ho rivolto l’obiettivo verso pozzanghere, parabrezza di auto, vetrine, vetri d’ogni sorta e quando non c’erano ho iniziato a portarmeli dietro… ed ecco che son venuti fuori i flou, i vetrovento e i plex… di cui Varone scrive per la presentazione della mia ultima mostra “…sulla superficie vengono restituite, investite di una vergine vitalità, schegge di città umane – rutilanti e notturne, solari e piovose, abitate e non, fasciate in un grottesco notturno o esaltate in una trance mediterranea –, frammenti di azioni quotidiane e brogliacci di trame segrete, indagate ed evocate dal Nostro nel pentagramma di un assordante silenzio e nell’allegoria di un’invadente desertificazione: correspondances capaci di evocare in ogni dove storie e di suscitare da nessun dove sensazioni, grazie a uno sguardo penetrante che non esclude la grazia nell’ordinario, ma ne accentua, di contro, la straordinaria rarità, foggiandola di un velo il cui giogo avvince con mistero e persuasione”.
Oggi ho messo da parte i plex per iniziare una nuova invisibile avventura...
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