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PRESENZE SILVESTRI

PRESENZE SILVESTRI

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Lucio Beccari


Free Account, Santhià

PRESENZE SILVESTRI

Questa foto non è mia.
E' della mia amica Cinzia che la giudica una buona illustrazione a questo mio raccontino.

Ne avete altre....?

Ecco il raccontino

Un cane, si, si, era un cane.
Era “solo” un cane.
“Solo” mica tanto. Che anche “solo” un cane ti può far fuori in un lampo. Metti che non riesci a imbonirlo o a farlo giocare, oppure a spaventarlo e a farlo fuggire….. Che poi una volta, anche solo dieci eclissi fa, coi cani, quasi sempre, ci si metteva d’accordo: “Tu mi lasci stare e io ti dico dov’è andata la volpe….”. Che tanto con la volpe ci si era intesi prima: “Io, per liberarmene, ti mando dietro i cani, tu, che sei furba, li disperdi, e io poi ti dico dove si trova l’uva buona, matura e comoda da raggiungere…”. Insomma era un accordo stupido con un animale stupido, ma almeno ti salvavi la cotenna… Ora questi cani qui, a questi cani d’oggi della volpe non gli importa un fico. Scendono da quelle assordanti scatole di latta semoventi insieme ai loro umani e si lanciano nel bosco come pietre di fionda. Non si guardano neppure intorno e senza nessuna attenzione cominciano a galoppare in lungo e il largo nella radura e nel bosco. Poi cagano, pisciano, annusano come se fossero loro gli occupanti. Sono forsennati ma non sanno mica quello che fanno. L’umano fa cose da umano, cioè stupidate: cammina senza meta, raccoglie le merde del cane in un sacchetto…. e il cane, anche lui, gli va dietro. L’umano tira un legno e lui corre… anche l’umano corre e loro corrono… L’umano parla e loro abbaiano…tutto quà: stupidate.
Questi cani qui della volpe gli importa un fico. Magari passano sulla traccia di un topo e nemmeno se ne accorgono, sentono il tasso, ma non sanno cos’è un tasso e continuano a correre dietro al bastone proprio senza nessuna attenzione, magari rompendo il guscio a una quadricorna, calpestando l’erba frignotta, urtando un lavarello, spostando rami di riferimento delle arvicole.

Questo cane qui, per fortuna l’ho visto da lontano. Veramente prima l’ho sentito e prima ancora l’ho annusato che era almeno a mille pastorali. Quasi mi fregava, che mica odorava di cane: sapeva di lavanda. A fine neve la lavanda non c’è ancora e io sono uscito per vedere che razza di questione era quella. Ma quando ho udito il fragore delle foglie secche ho capito tutto. Sono rientrato in fretta, ma “fiorellino” mi ha visto. Ho solo trenta eclissi e sono veloce, ma mi è stato addosso in un lampo: appena il tempo di infilarmi sotto la radice. Li ero al sicuro ma non potevo muovermi. L’umano, lontanissimo, ha messo le dita in bocca e ha fischiato, non forte, che io lo so fare meglio, ma il cane l’ha sentito e se n’è andato di corsa. Meglio così. Altrimenti avrei dovuto convincerlo a non sbranarmi, raccontando un sacco di stronzate o magari tirando anch’io un legnetto oltre il martel oppure con una fleciata in mezzo agli occhi.

Ora aspetto l’imbrunire e intanto osservo, dal ramo della rul scruto il bosco tornato tranquillo, nulla si muove se non le foglie della pubbia per via della brezza. Tra poco, col buio, poco per volta tutti gli occupanti faranno il loro giro. Il tasso arriverà e annusando si assicurerà che il cane se ne sia andato, il topo arriverà e annusando si assicurerà che se ne siano andati tutti e due. Farò due parole con l’amurich e quando ci saremo salutati, scenderò anch’io per riparare il guscio della quadricorna, risistemare i rami per le arvicole e, se quello slavato di un umano non le ha raccolte tutte (strana abitudine) interrerò un po’ di merda di cane vicino all’erba frignotta così a primavera sarà rigogliosa e saporita.

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