Danilo Massi


Premium (World), Roma

Petala Aurea

Lamine di ambito bizantino e longobardo dalla Fondazione Luigi Rovati
Petala aurea (petali d’oro) è il termine che i trattati altomedievali utilizzano per definire sottili lamine e foglie (brattee) usate in oreficeria, oggetto di questa mostra di quarantasette reperti composti soprattutto da sottili e minute lamine auree dotate di forellini per essere fissate a un supporto. I reperti della collezione sono stati acquisiti sul mercato antiquario e mancano informazioni sull’area geografica di provenienza e sui contesti di ritrovamento. Queste brattee sembrano comunque rientrare in un orizzonte cronologico prevalente di VI-VII secolo e paiono riflettere una matrice stilistica di tradizione mediterranea che suggerisce siano state realizzate in un contesto protobizantino provinciale, forse anche nell'Italia centromeridionale. Il campo delle possibili applicazioni è ampio: potevano decorare manufatti in legno, osso o avorio (come cassette o reliquiari), o in cuoio, (come cinture o borse). Tuttavia, sulla base dei modelli rinvenuti, si predilige l’ipotesi che fossero cucite su tessuti: abiti cerimoniali, velari e coperte di uso liturgico o, nel caso delle crocette, sudari e veli funebri. La lavorazione delle brattee richiede materia prima duttile e malleabile, caratteristica garantita dall'oro puro.

La lamina veniva abilmente tirata a martello e poi ritagliata con cesoie o taglierini; la decorazione poteva avvenire a sbalzo a mano libera, mediante ceselli con punte di varia forma, oppure a stampo, o ancora mediante più minute punzonature e incisioni a bulino. Con questi procedimenti di rifinitura gli artigiani intendevano suggerire tecniche più complesse proprie di un’oreficeria di maggior pregio, come l’applicazione di filamenti, la granulazione e la presenza di pietre incastonate. Oltre a qualche altro gioiello in oro, argento e ambra, la raccolta comprende anche placche in lega d’argento e rame, di forme differenziate che potevano essere applicate a cassette e reliquiari, in altri anche a scudi da parata o a testate di sella. In concomitanza con l’arrivo dei Longobardi in Italia nei corredi funerari compaiono croci in lamina d’oro, soprattutto nelle sepolture con corredi d’armi o monili femminili di tradizione germanica. Una sezione dell’esposizione è dedicata a queste croci, rinvenute sul volto o sul busto del defunto, che secondo i più sarebbero offerte funerarie realizzate in occasione del decesso. Il repertorio ornamentale dei pezzi della collezione comprende semplici motivi geometrici e fitomorfi, qualche monogramma, figure umane e animali. Sono ricorrenti anche busti e volti femminili e maschili ritratti con modalità che si affermano dall'età tardoantica.

Alcune rappresentazioni riflettono la tradizione figurativa romana, in altre è invece più evidente il gusto barbarico per una semplificazione e deformazione delle forme, che arriva a trasformare i volti in maschere. Si ritrovano anche volti maschili, che potrebbero rimandare a Cristo, homo per eccellenza, ma anche al detentore della lamina, che affida alla croce la propria salvezza. La scelta delle rappresentazioni zoomorfe sembra invece motivata da valenze simboliche: compaiono animali che esprimono forza e potenza generatrice (il leone, il cavallo, la capra) o tipici dell’immaginario paleocristiano (il pesce, il gallo, il pavone).

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