Ritorna alla lista
Progetto "Foto&Racconti": L'amore (Mineo-Palumbo)

Progetto "Foto&Racconti": L'amore (Mineo-Palumbo)

7.895 3

Progetto "Foto&Racconti": L'amore (Mineo-Palumbo)

L'amore

Per una migliore visione cliccare sul link per la versione PDF

http://www.francescotorrisi.com/Foto&Racconti/Mineo_Palumbo_L_Amore.pdf

*****************
Fotografia di Donato Palumbo
Racconto di Santino Mineo
*****************


"Nel mondo omerico tutto è predestinato dal Fato, gli stessi Dei nulla possono contro di esso. In genere si conosce già il proprio destino: tuttavia nel suo ambito è possibile a Dei e uomini di poter operare con libertà”.

Negli anni della scuola superiore ho studiato l'Odissea e la credenza che il fato dettasse le leggi sulla nostra vita mi faceva un po’ sorridere. Quando si è ragazzi non si crede a certe cose, ci si sente padroni della propria vita, ma prima o poi tutti fanno i conti col FATO...

------------------------------------------------------------------------------------------------------

Estate 1968. Gli esami di maturità erano appena finiti e con grande gioia potei finalmente appendere nella mia stanza il diploma di ragioniere.
Io e Rebecca ci diplomammo insieme.
La nostra storia iniziò al primo anno: la classica storia d'amore che nasce tra i banchi di scuola, tra compagni di classe. Passavamo le giornate a scriverci di nascosto quello che provavamo l'uno per l'altra e ogni giorno andare a scuola era una gioia solamente per vedere i suoi occhi. Occhi che emanavano mille colori, un arcobaleno di emozione.
Ricordo bene quella data, il 17 marzo 1964, un giorno cupo: il cielo pieno di nuvole e un freddo che a Palermo non si era mai visto.
A quei tempi per le giovani coppie non era semplice uscire da sole. Alla ragazza non era permesso, se non accompagnata da un familiare o da una schiera di amiche, e comunque il coprifuoco era fissato per il tramonto. Per questo motivo quel giorno decidemmo di non andare a scuola e di marinare insieme.
Onde evitare che qualcuno ci vedesse per strada andammo fuori città e così prendemmo il treno per Bagheria. Quel giorno volli fare il grande uomo e la portai in una villa settecentesca, la famosa Villa Palagonia. Volevo farla sentire la mia regina ed io il suo re. Entrammo e dentro la sala degli specchi ci abbracciammo e ballammo canticchiando un motivo di Luigi Tenco, "Lontano lontano". Per entrambi era il primo amore; ad entrambi sembrava di vivere una favola.
Uscimmo fuori nel grande giardino e lì cominciò a piovere. Corremmo sotto un grande platano e all'improvviso le nostre labbra si unirono. Fu il nostro primo bacio, un bacio che durò quasi 10 minuti. I nostri corpi lievitarono, e ci sentimmo staccare dal terreno. Che grande emozione! Se ci ripenso, sento ancora la stessa sensazione che ho provato allora.
Sotto quell'albero incidemmo le nostre iniziali e guardandoci negli occhi ci promettemmo amore eterno.
Non passavano giorni, mesi, anni senza che il nostro amore non fosse sempre più bello, profondo, vero. Ogni giorno era come il primo.

Per festeggiare la chiusura dell'anno scolastico e della maturità conseguita, organizzammo una megafesta nel villino del mio compagno Ernesto. Suo padre era uno che aveva traffici illeciti con la mafia, ma il figlio credeva che fosse semplicemente un bravo imprenditore che aveva avuto molta fortuna.
Avevano una enorme villa con piscina e in quella serata gli ospiti d'onore, naturalmente regalo dell'"imprenditore fortunato", sarebbero stati Lola Falana e Rocky Roberts. Ero emozionato e felice di passare con Rebecca una serata così speciale.
Chiesi a mio fratello Carlo di prestarmi la sua lambretta e, dopo un fugace battibecco, mi diede le chiavi.
Alle 18, pettinato e profumato, salii in sella e partii per Mondello. Addentrandomi in viale Regina Margherita i profumi della rigogliosa vegetazione estasiavano i miei sensi, sembrava quasi non ci fosse altro, solamente io e la natura.
Mentre camminavo, il vento accarezzava delicatamente il mio viso e mi emozionava pensare che a breve avrei rivisto il mio dolce amore. Ma all'improvviso, in una frazione di secondo, i raggi solari tenui e dorati che si facevano strada tra i rami degli alberi intorno a me sparirono dai miei occhi e lasciarono spazio solo al buio e al silenzio.

Purtroppo un cavallo era scappato dalle redini del suo padrone e finì diritto su di me.
Una brutta caduta, e i miei sogni e le mie speranze svanirono in un battito di ciglia.

Sono stato in coma per 25 anni e per mia fortuna mi sono risvegliato.

Il primo nome che feci al mio risveglio fu quello della mia Rebecca.
Carlo, con molta dolcezza, mi spiegò che le cose erano cambiate, che era passato molto, troppo tempo. Volevo morire in quell'istante, ma mi promisi di rivederla almeno una volta per parlarle guardandola negli occhi.
La cercai per tutta Palermo e dopo mesi venni a sapere da una sua cugina che si era trasferita in Germania con tutta la famiglia.
Mi resi conto subito che sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio ma la cugina mi rincuorò, confidandomi che per Natale sarebbe venuta a Palermo.
Aspettai con trepidazione quella data e dicembre arrivò velocemente.
La cugina, forse mossa da compassione e ormai mia complice, fece da tramite e organizzò l'incontro.
Quel giorno aspettai in Piazza Politeama per quasi trenta minuti; fumai tre sigarette e per tutto il tempo dell'attesa percepii il mio corpo come un blocco di ghiaccio. Il freddo mi entrava nelle ossa, ma il gelo che sentivo non era altro che l'emozione di rivederla.

Mi sentii toccare la spalla, mi girai e una donna mi chiese: “Gaetano, sei tu?”. Rimasi per tre secondi in silenzio e improvvisamente mi sembrò di ritornare indietro di trent'anni. Quegli occhi... era Rebecca.
Prima ancora che riuscissi a risponderle, dai miei occhi scese una lacrima. Lei mi strinse le mani e si unì al mio pianto. Ci abbracciammo.
Mi raccontò di quanto fosse stato difficile per lei accettare il mio stato, che passava intere giornate vicino al mio letto in ospedale, osservando ogni mio respiro, accarezzandomi il viso e raccontandomi cosa succedesse intorno a noi. Finché un giorno il padre, caduto in disgrazia, decise di partire per la Germania.
Parlammo per ore e ad un certo punto le chiesi se avesse voglia di andare in un posto speciale. Senza esitare accettò e così salimmo in macchina ed imboccai l'autostrada. Durante il viaggio, ogni volta che ne avevo la possibilità, la guardavo come a volermi sincerare che fosse vera e non uno dei miei tanti sogni. Superammo un cartello con l'indicazione "Bagheria, 3 km", lei capì, abbassò gli occhi e sorrise. Da quel momento non parlò più.
Restammo in silenzio anche quando ci ritrovammo davanti alla grande porta di Villa Palagonia.
Sembrava non ci fossimo mai lasciati, era come se il tempo si fosse fermato a quel 17 marzo del '64. Ci sedemmo sotto il nostro grande albero e, mentre sorridevo nel vedere che i nostri nomi erano ancora incisi, lei mi confessò che si era sposata ed aveva avuto tre figli. Sentii il mio cuore come stretto in una morsa. Speravo fosse tutto un sogno ma mi resi conto subito che invece era tutto reale e che ancora una volta il "fato avverso" si era messo di mezzo.
Mi prese per mano invitandomi ad alzarmi e una volta in piedi, uno di fronte all'altra, ci guardammo negli occhi, coscienti che sarebbe stata l'ultima volta e, senza neanche pensarci, ci baciammo. Le sue labbra erano morbide e vellutate come allora, l'unica differenza era che questa volta, nei suoi occhi splendenti, vedevo riflesso il volto di un uomo adulto, non più quello di un ragazzo.
Mi sono sentito come Achille, e come per lui il fato è stato avverso, così per me.
Quando posso vado ancora sotto quell'albero e, se per pochi secondi chiudo gli occhi, riesco ancora a sentire il dolce sapore del vero amore.

Commenti 3

Informazioni

Sezione
Cartelle .Foto & Racconti
Visto da 7.895
Pubblicato
Lingua
Licenza

Exif

Fotocamera NIKON D700
Obiettivo 70.0-300.0 mm f/4.5-5.6
Diaframma 5.3
Tempo di esposizione 1/100
Distanza focale 210.0 mm
ISO 200