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Progetto "Foto&Racconti": La cura (Franco-Palumbo)

Progetto "Foto&Racconti": La cura (Franco-Palumbo)

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Progetto "Foto&Racconti": La cura (Franco-Palumbo)

La cura

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http://www.francescotorrisi.com/Foto&Racconti/Franco_Palumbo_La_cura.pdf

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Fotografia di Donato Palumbo
Racconto di lucy franco
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Era parcheggiato in una casa antica vicina al mare, mura spesse di tufo, dove la canicola possente dei pomeriggi di solleone non entrava.
Sul piccolo terrazzo a ridosso della camera da letto passava intere giornate a leggere fumetti, quando il silenzio era una saracinesca calata sul mondo nelle ore più calde, e dappertutto risuonava lo stridio delle cicale e niente più.
In quei mesi estivi, nella casa antica vicino al mare, mentre provava suo malgrado a crescere, i suoi genitori continuavano ad ignorarsi in una casa deserta e troppo grande, distante una intera città.

Erano passati anni su anni e i suoi pensieri ancora maledicevano un padre bastardo, morto da poco e da decenni volontariamente assente e irreperibile.
Ma si sa la burocrazia com’è. Ti trova anche in capo al mondo quando c’è da riscuotere un credito dagli eredi di un truffatore che imbroglia per sbarcare il lunario.
Detto fatto, il figlio successore eccolo qua, per tappare i buchi del genitore morto, da solo, in un ospedale lontano.

In piedi di fronte al letto spoglio di quella stanza fredda, ripensò al giuramento fatto a se stesso tanto tempo prima, una promessa nutrita dalle notti acri di lacrime, dai giorni rosi di invidia per i suoi compagni bambini, con le mani nelle mani di genitori sorridenti.
Cullava l’idea di un estremo gesto di disprezzo: un schiaffo, liberatorio, selvaggio, al padre colpevole.
Ma come nella migliore tradizione di uno cui la vita ha regalato poco, quel sogno blandito per anni svaniva desolatamente.
L’ultimo affronto di suo padre: essere lì ma non esserci, su quel cuscino grigio, in una stanza dove niente era suo, niente apparteneva alla sua vita. Non un giornale stropicciato lasciato disordinatamente aperto, non un armadio dalle ante difettose, nemmeno la polvere che si posava sui giorni che passavano gli era appartenuta in quella stanza.
Ancora una volta era scomparso, negando al figlio anche l’ultimo confronto.
Girò le spalle e se ne andò, lasciando che mani estranee componessero un lenzuolo sul corpo morto.
Non un segno di croce segnò la sua fronte a rappacificargli l’anima.
Privato dell’affetto del padre, avrebbe passato tutta la vita a cercare di colmare quel vuoto, inutilmente.

Commenti 3

  • gino lombardi 09/10/2011 13:36

    C’è chi pensa di esserla comprata la vita, che è sua e che nessuno potrà mai portargliela via. E’ l’illusione degli stupidi omuncoli che credono di affermare la loro piccolezza creandosi un piccolo regno su cui ergersi a despota assoluto e indiscusso. Non una compagna, ma una schiava che deve riverire ed ossequiare il padrone, non un figlio, ma la prova di una animalesca virilità. Poi, ciò che sembrava non dovesse arrivare mai, la malattia, la vecchiaia, la morte, arriva anche per questo indefinibile essere. E’ arrivato il momento in cui cercare, disperatamente, come Faust, una goccia di amore: basterebbe a rendere degna la sua esistenza, ma questa goccia di amore non c’è, il suo cammino ha lasciato solo tracce di odio.

    Chapeau

    Gino
  • Donato Palumbo 06/10/2011 8:48

    Lucy mi hai fatto proprio una bella sorpresa (ho fatto bene a non voler sapere cosa e come avresti raccontanto) nel ripescare la mia foto a cui, forse, tengo di più, per poi narrare "la cura" dal punto di visto dell'anima e non solo del corpo.
    ....ti ringrazio!!! :-)
  • Flavio Moro 05/10/2011 15:29

    Le due facce della metafora. Da un lato la cura per un ammalato senza speranza, dall'altra quella per il cuore ferito di un figlio, anche lui senza speranza. L'insieme è un gioiello introspettivo. Bravi.