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Progetto "Foto&Racconti": 500 euro spesi bene (Orsini-Pettazzoni)

Progetto "Foto&Racconti": 500 euro spesi bene (Orsini-Pettazzoni)

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Progetto "Foto&Racconti": 500 euro spesi bene (Orsini-Pettazzoni)

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http://www.francescotorrisi.com/Foto&Racconti/Orsini_Pettazzoni_Cinquecento_euro_spesi_bene.pdf

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Fotografia di Renato Orsini
Racconto di Arnaldo Pettazzoni
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Eccomi qui!... Che dire, quei volti illuminano rimembranze che riguardano una vita ascoltata, forse una storia comune? Non saprei, ma credo valga la pena raccontarla.
Il paese era molto piccolo, tutti sapevano di tutti e se non si sapeva si chiedeva. Era impossibile che non vi fosse nulla da sapere.
La privacy?
Non aveva senso quel nome difficile da pronunciare: l'interesse altrui era il carburante che teneva in vita le comari e i vecchi del paese. Rimanevano seduti sulle panchine della piazza principale a due passi dall'osteria fino al tramonto, con la gola secca, nonostante il ventre gonfio di vino. Erano sicuri di non trovare mai le panche occupate dai sparuti giovani che abitavano in paese... non avrebbero mai osato sedersi su quelle panchine battezzate da loro stessi “le panche delle membra morte".
Sono un medico laureato in psichiatria, ho lo studio nella stessa palazzina del medico condotto, situato in un vicoletto al secondo piano, di lato alla piazza principale.
L'accesso dalla stessa porta rendeva impossibile dall'esterno sapere se il paziente che entrava necessitasse di un ricetta per un semplice sonnifero o se dirottasse, non visto, nel mio ambulatorio.
Non abitavo in paese, i pazienti li avevo tutti in città, ero da poco tempo con lo studio in quel luogo e la mia presenza si limitava ad un giorno alla settimana e nessuno aveva bussato alla porta fino a quel giorno per una visita o un consulto. Erano tutti mentalmente sani, o forse credevano di esserlo.
Sentii aprire la porta lentamente senza avere udito bussare.
“C'è nessuno?”.
“Venga pure”.
“Buon giorno, professore".
“Dottore, solo dottore. Prego, si accomodi”.
Si sedette dicendomi che si chiamava Alessandro ed era figlio del fu Massimo.
“Dottore, io ho bisogno di essere aiutato”.
“Aiutato in cosa?”, domandai.
“Sia io che mia moglie abbiamo un problema”.
“Sua moglie?”.
“Sì, è fuori che aspetta”.
“La faccia entrare".
“Buongiorno, mi chiamo Eva”. Si sedette a fianco del marito.
Ragazza di bella presenza più unica che rara in paese, capii quasi immediatamente che era lei e solo lei il problema.
Si erano sposati da un mese, ed erano venuti ad abitare lì arredando in economia il modesto appartamento del fu Massimo, il padre defunto.
Vennero notati dal primo giorno. In realtà fu notata solo lei: il suo corpo esuberante, il suo vestire disinibito sbattuto in faccia giornalmente a vecchie e vecchietti erano per certe indecorosi, per certi eccitanti.
Nacquero diverse dicerie sulla prosperità di quel corpo femminile, con telefonate e biglietti anonimi. Era convinzione di tanti che non potesse essere credibile che solo lui, “il marito”, godesse di tanta abbondanza.
L'invidia delle vecchiette era viscerale, impotenti e gelose, al suo passaggio bisbigliavano “Copriti!”, mentre in netta controtendenza i maschietti l'avrebbero voluta vedere nuda. Vecchietti giunti ormai ad avere il 99% dell'attività sessuale negli occhi.
Il resto usciva dalla bocca.
“Dottore, sa che l'ultima volta ho avuto paura?!”, disse angosciata. ”I più arzilli mi hanno seguita!".
“L'hanno aggredita?”.
“No, no!".
“Signora, questa non è la caserma dei carabinieri, posso solo dirle che la paura va controllata. Sono tutti innocui se frequentano le panche... Be', se lei si girava fissandoli in faccia sarebbero scomparsi, probabilmente la seguivano per sapere dove andava, chi incontrava, per parlarne l'indomani davanti ad un bicchiere di vino. Se lei ha paura muore tutti i giorni, Eva... se lei non l'ha, muore una volta soltanto, sia più aggressiva e vedrà che il patetico gallismo finisce, quelli sono solo dei capponi".
Eva strinse la mano del marito arrossendo in volto. Questi ragazzi, pensai, non hanno bisogno di un medico, ma di un padre, un fratello, un amico. Mi tolsi il camice bianco e in confidenza, come seduti in un bar, espressi un' ipotetica soluzione:
“Dovete andarvene da qui, andarvene il prima possibile”.
“Ma dove?!", risposero entrambi.
“In città, cribbio! Vendete l'appartamento e sparite, se restate diventa una condanna a vita per tutti e due, lei è troppo sensibile e troppo bella, non avrebbe scampo, sarebbe monitorata di giorno e sicuramente anche di notte. Ma deve essere un'uscita eclatante, rumorosa, da ricordare...".
Alessandro trovò un piccolissimo appartamento già arredato in città, non vendette quello del paese: la scelta fu sparire dalla comunità per più di un anno lasciando un interrogativo sulla loro scomparsa.
E così avvenne.
un giorno allbeggiava in quel piccolo borgo, si sentivano soltanto le cicale e qualche miagolio di gatti in amore. I fari di un'auto illuminarono la piazza deserta parcheggiando nel centro di essa con il muso rivolto verso la salita che portava fuori dal paese, spense il motore, ma non scese nessuno. In quel punto finiva la strada, terminava in quella piazzetta... forse un errore del navigatore, pensò qualche nottambulo.
Di certo un'auto in pieno centro era un evento raro in quel borgo.
Tornò il silenzio ovattato di sempre.
Lentamente il paese si animò, l'auto era ancora ferma in mezzo alla piazzetta.
Quel parcheggio selvaggio incuriosiva, l'assembramento intorno all'auto divenne come un piccolo sciame umano.
“Una Porsche dall'aspetto corsaiolo! che ci fa qui?”, fu il commento di un ragazzo con i capelli rossastri.
Si aprì la portiera e fu una sorpresa per quel nugolo di gente.
“Ma è Alessandro, il figlio del fu Massimo!”, gridò ad alta voce un vecchietto panciuto e sdentato.
Alessandro rimase in piedi sul predellino.
“Ma dove sei finito, ragazzo? e la tua signora dove l'hai messa ? È tanto che non la si vede".
“Hollywood, signori, abito ad Hollywood! Sono passato per caso! No, non è vero! eh! eh! eh! Mento! Ci sono venuto apposta... State tutti bene? Ci siete ancora tutti? Bene, molto bene!”.
“Ma cosa fai ora, Alessandro?”, gridò il panciuto sdentato dal volto ovale e gote sanguigne.
“ Il pilota!".
“Il pilota di che?!“
“Di auto, non lo vedi, coglione!".
Rientrò nell'abitacolo: “Meglio andarsene”, disse ad alta voce, chiuse la portiera e premette un pulsante rosso situato sul volante, che apriva elettricamente i tubi di scarico eliminando i silenziatori. Sapeva che era proibito farlo per strada, altra cosa era la pista, ma mise in moto.
Il boato annichilì tutti i presenti che timorosi si scostarono dall'auto, le cicale si ammutolirono, sparirono anche i gatti innamorati.
Eva era seduta al suo fianco, lei non era scesa, i vetri spessi oscuravano l'interno, non l'avevano vista. .
“Eva! quando te lo dico apri il finestrino, ora chiudi il pugno della mano destra, bene! stendi il dito medio, sì, proprio così, quando ti grido 'Ora!' stendi anche il braccio fuori dal finestrino e lascialo fuori".
Il motore già caldo borbottava... ancora un attimo e il piede destro pestò con violenza a fondo l'acceleratore.
"ORA!!! ORA!!!", gridò ad Eva.
Un sibilo terrificante fece cessare per un istante il respiro a bocca aperta dei presenti. I 900 cavalli del motore scaricarono a terra tutta la loro potenza facendo girare, con l'auto ancora ferma, le gomme posteriori.
Una nuvola di fumo biancastro e puzzolente li avvolse tutti.
La cattiveria di quel bolide lasciò per una lunghezza di 50 metri sull'asfalto due vistose righe nere larghe mezzo metro, parallele come due binari.
“Che artista, il dottore, che artista!”, gridò ad Eva, ghignando soddisfatto mentre si allontanava come un proiettile dalla piazzetta.
“Ora puoi togliere il braccio”, le disse.
“Rallenta, rallenta!... Ho avuto paura, Alessandro, ho il cuore in gola”.
Rientrarono lentamente verso la città immersi nel traffico, giunsero al salone dell'auto. Lui spense il bolide, tolse le chiavi e le mise nella mano aperta del noleggiatore.
“Allora, ragazzi? è cattiva, eh! se le pesti la coda diventa una belva!”.
“Direi di sì!", rispose Alessandro sorridendo, "una bella differenza dal go-kart che usavo da ragazzo... Sa che sognavo di fare il pilota? Impagabile esperienza, veramente impagabile!”, disse mentre consegnava i 500 euro del noleggio. “Impagabile anche la firma d'addio lasciata al paesello! Se la ricorderanno per una decina d'anni”.
“Che firma?", chiese il noleggiatore.
“Nulla, nulla, è solo un detto paesano, si usa sempre per salutare una volta per tutte, ma con affetto, i vecchi amici”.

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