...Emme Divi

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lucy franco lucy franco   Messaggio 1 di 30
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Marcella Dalla Valle (o anche ) si definisce amateur photographer, autodidatta, lievemente poetica e un po' visionaria.
E il suo curriculum ne evidenzia traguardi importanti: partecipa dal 2000, a concorsi e premi letterari, conseguendo Premi e Segnalazioni di merito. Pubblica la raccolta di poesie "FLU", a cui segue un'altra silloge, "Ritratti in Galleria". Sono più di trenta le antologie e le riviste letterarie che accolgono i suoi scritti, siglati da editori di primo piano e da accreditate organizzazioni. Primo Premio alla XIX edizione (2007) del Premio Internazionale di Poesia e Letteratura "Nuove Lettere"

In quasi necessario contrappunto, Marcella modula la stessa genialità anche nella visione fotografica.

“tra le mie immagini: di pensieri e sogni, forse un'altra realtà: un tempo che si vuole avvicinare all'atemporalità dell'inconscio. Il tempo suggerito si oppone a quello della Storia, è un tempo che non ha nulla a che fare con l'istante decisivo e non rimanda nemmeno a un preciso momento del passato.”


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lucy franco lucy franco   Messaggio 2 di 30
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D -- “… nominare un oggetto è sopprimere tre quarti
del godimento della poesia, che è costituita dalla felicità
di indovinare poco a poco: suggerire. Ecco il sogno!…”
(Stéphane Mallarmée)

Fotografare il reale e mantenere intatta la fedeltà al dato visivo è, talora, come per il poeta, <nominare un oggetto> e quindi privare della felicità di <indovinare poco a poco>?

R -- Direi proprio di sì, se a immagine e parola è sotteso il concetto di essere ed esistenza. Un confronto tra fotografia e poesia è possibile. Può essere una relazione stretta e simbiotica quella che viene a crearsi tra immagine e parola (nel senso di figurato e letterario). Per chi studia nell’ambito di questa ricerca, quello che forse è impossibile stabilire è se è stata proprio la fotografia con il suo potere di segmentazione della realtà visibile a indicare ai poeti un linguaggio di sintesi; O se sono state le inquietudini, i turbamenti dei poeti del primo ‘900 a suggerire ai fotografi l’analisi del frammento. La veste dell’indagine solitamente è circoscritta a un certo tipo di fotografia che vuole rivelare un aspetto interiore e intimistico, un sentimento, oppure che è contemplazione della natura. Mi sento in sintonia con quel “poco a poco” perché indica la ricerca delle immagini attraverso la percezione e la coscienza. E intendo percezione come presa di coscienza nell’ambito dell’esperienza sensibile oppure della possibilità o della disponibilità dell’intuizione. Parlo di quella coscienza non-tetica, non posizionale (di qualcosa) che è coscienza di me conoscente, l’acquisizione tacita e non discorsiva, non mediata, non conosciuta ma sentita. È un apriori sempre presente nel soggetto. Quasi una coscienza obliquo-trasversale. Elementi inconsci che formano lo strato oscuro che precede la piena coscienza delle rappresentazioni mentali. La magia, il sogno è quando queste rappresentazioni mentali diventano realmente visioni, fotografie. Sì, è la felicità di indovinare o suggerire a poco a poco l’essere in sè e per sè, l’essere per altri, l’ essere nel mondo. Sì, sotto la realtà apparente, quella percepibile con i sensi, si nasconde una realtà più profonda e misteriosa raggiungibile solo per mezzo dell’intuizione che non è solo della poesia, ma anche della fotografia.
lucy franco lucy franco   Messaggio 3 di 30
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D -- Hai una ammirazione particolare per Uelsmann, e penso anche alla bellissima scheda che gli hai dedicato nella sez . “I nostri Maestri”:
http://www.fotocommunity.it/forum/i-nos ... y-uelsmann

Quale la sua fotografia che è stata per te “coup de foudre”?

R -- Ci sono locuzioni poetiche che sono fotografie e viceversa: << … Come una fronte stanca / È riapparsa la notte / Nel cavo d’una mano … >> (Ungaretti, Ogni Grigio, Sentimento del Tempo, 1925). E ricordo subito il
“coupe de foudre”: penso alla serie con le mani del 1989 e 1996, mani aperte pronte ad accogliere teneramente ciò che spesso cancelliamo dalla nostra mente ma che depositiamo in qualche luogo oscuro.

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Un Untitled del 1967 dove un albero si libra nell’aria sospeso su un lago, mostrando le sue radici sottili,

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ma lo stupore continua anche con gli ultimi lavori del 2011 sul linguaggio simbolico del corpo.



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Di Uelsmann ammiro il modo di isolare frammenti e trasferirli in visione, è come se tutto il reale caotico e disorganico che ci sta intorno diventasse per magia un frammento che diviene elemento rivelatore, testimonianza visibile di un’essenza spesso mascherata. Le sue fotografie non significano soltanto ciò che rappresentano ma suggeriscono significati altri che spesso sanno di mistero perché stanno in attesa di chi osserva. Ammiro la sua strabiliante capacità di rendere visibile l’invisibile.
lucy franco lucy franco   Messaggio 4 di 30
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D -- Spesso parti da una unica ispirazione visiva e la traduci quasi ossessivamente in più immagini conseguenziali:

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cosa stai in effetti cercando?

R -- L’ispirazione si è tradotta da sé in attitudine ermetica accumulata negli anni. È ansia interrogante per i significati nascosti. È scomposta inquietudine. Questa “ossessione” diventa quasi ripetizione metaforica delle possibili dimensioni del silenzio e della solitudine dell’essere umano. Cerco un significato, un perché da affidare visivamente alle mani, a una schiena, alle nuvole, agli alberi, ai corpi femminili o maschili, agli oggetti. Cerco l’opposto del caos, dell’insieme, della moltitudine, del troppo. Spesso nella forma sono più che stringata perché è come se il troppo mortificasse l’intuito o arrestasse la fantasia. Il mio è un linguaggio volutamente povero nei segni (e nelle parole) perché, secondo me, il poco aiuta il trasporto dal suggestivo della lirica al figurato della fotografia. Il significato altro non è che una platea da osservare, la difficoltà sta nello scendere mentalmente dalla prima fila, alla seconda, terza, quarta e così via … per arrivare ad altri contenuti significanti, che non siano quelli semplicistici di un dato di fatto, il più ovvio, il più immediato da recepire attraverso i sensi. Da immagini (o parole) nel caos della moltitudine, solo comprimendo e comprimendo e comprimendo con l’idea dell’infinito nella testa l’immagine (o la parola) si spoglia nell’insieme attraverso le altre e arriva così il significato, la vera essenza del significato, la sua radice. Poi l’immagine (o la parola) attende la comprensione di chi guarda o legge.





D -- Si sperimentano nuove forme dell'espressività poetica per risultare più aderenti alla realtà contemporanea: la fotografia è poesia “congelata”?

R -- Se guardiamo a tutti i generi fotografici, dal reportage di costume a quello naturalistico e faunistico, dal ritratto alla documentazione d’ambiente, dai servizi giornalistici a quelli industriali e pubblicitari, dallo sport alla fotografia di scena cinematografica ogni volta la fotografia si confronta con l’attimo; Proprio in quell’istante l’eternità che lavora con tempo e luce, cattura la velocità delle percezioni e così si impressiona uno sguardo. Dipende dalla sensibilità di chi scatta il riunire con valenza sinestetica gli aspetti poetici della parola all’immagine. Qui parliamo di fotografia e poesia, ma tanto per far capire che il discorso è molto ampio e complesso per essere chiuso in poche righe, posso sottolineare che lo stesso approccio vale per esempio per le interazioni ritmiche tra poesia e musica. La poesia è il silenzio della musica? Penso al Pascoli e a Puccini per esempio, a Montale e alla sua passione per l’opera lirica. Sono tutti intenti e/o progetti di indagine molto ambiziosi che richiedono studio e soprattutto molta esperienza sul campo nel caso della fotografia. La macchina fotografica non può che essere solo un filtro, uno strumento, un mezzo che porta con sé il progresso e la velocità, ma quello che si tenta di raccogliere con esso è quasi sempre lento, nascosto, sfugge la velocità dei nostri ritmi quotidiani, necessita di un osservare quasi immobile, riflessivo, vuole comprensione e per me questa è poesia.
lucy franco lucy franco   Messaggio 5 di 30
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D -- Cosa è il ritmo in fotografia?

R -- In poesia è come il preludio musicale di un’attesa eletta. In fotografia è il sentire quando l’oggetto/soggetto fotografico in un determinato momento entra nella percezione riflessa di un furtivo sguardo. Il ritmo è difficile da spiegare, è una cosa che si sente arrivare da dentro, è il talento del poeta o del fotografo. Il ritmo è il fluido energetico che suggestiona che cattura l’attenzione, è magia.
In poesia è dato dall’architettura del testo, dalla lunghezza dei versi, dalla disposizione degli accenti, dalla presenza delle rime, dall'alternanza delle sillabe toniche e atone in un verso, musicalità scandita sulle corrispondenze interne, sulle allitterazioni, sulle ripetizioni. In fotografia è dato dalla luce e dai segni, dalla scelta del colore o del bianco e nero, dall’inquadratura, dalla composizione (ordine e armonia), dalla gestione del tempo di scatto, dalla messa a fuoco. Messe insieme, tutte queste cose, in forma e contenuto, danno il ritmo, quel ritmo che propriamente è della poesia o della musica.

D -- Quale il limite della immagine che la parola non ha e quale invece il vantaggio ?

R -- La risposta è problematica per le molteplici e contraddittorie tensioni che si sviluppano all’interno dei due concetti, ma si può tentare di rintracciare alcune linee di confine. L’immagine mi suggerisce una dimensione evanescente, assorbe in sé la possibilità di dissolversi ed è continuamente chiamata in causa dal sapere e dal pensiero proprio laddove la parola ha bisogno di mostrare ciò che non riesce dire. L’immagine è minacciata dalla pluralità dei sensi e questo rende sfumato il suo confine, da qui forse può scaturire la difficile relazione con la parola (Clemens-Carl Härle ). La parola è momento individuale viaggiante con il soggetto, l’immagine è la dimensione del tempo. L’immagine è luce, ombra, segno che la parola non è. Le regole e le strutture che operano sull’organizzazione dell’immagine e della parola si configurano come barriera, filtro o impedimento dell’una nei confronti dell’altra. Però è anche vero che laddove la parola poetica si avvale per esempio delle figure retoriche, l’immagine a sua volta reagisce alla visione del mondo esterno con la Legge della somiglianza, della vicinanza, del moto comune, della continuità, della chiusura, dell’esperienza passata, della pregnanza (Wertheimer, Koffka, Kohler). Per chi vuole approfondire c’è l’imbarazzo della scelta.
lucy franco lucy franco   Messaggio 6 di 30
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D -- Usi spesso il b/n :

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secondo te è vero che il colore è distrazione, laddove il b/n destruttura e purifica?

R -- In questo momento, per il mio modo di vivere l’immagine, il colore mi distrae e mi provoca quasi subito immediata disillusione. Fotografare a colori è essenzialmente diverso dal fotografare in bianco e nero. Il colore non significa bianco e nero più colore, come il bianco e nero non è solo un’immagine senza colore. Ciascuno di questi mezzi richiede una diversa sensibilità nel vedere e, di conseguenza, una diversa disciplina. Per me è molto difficile fotografare a colori, non ho sensibilità pittorica mi ritrovo di più nella dimensione minima e semplificata del bianco e nero, insomma è una povertà voluta la mia. Il bianco e nero è come l’ossimoro in poesia, mi aiuta a scomporre a sezionare l’umore e la radice delle cose che ci stanno intorno. La scelta dell’uno o dell’altro è essenzialmente la manifestazione di un registro espressivo.

D -- il tuo prossimo progetto in agenda

R -- Sto corteggiando un’idea che mi è stata proposta. Quella di esporre, magari insieme ad altri fotografi, alla Galleria d’arte Bunker nel Complesso palladiano di Villa Caldogno (VI). Un bunker antiaereo della seconda guerra mondiale (recuperato) che l’Amministrazione mette a disposizione per mostre d’arte. Mi entusiasma l’idea di esporre in un luogo che può essere metafora di rappresentazioni visive dal teatro dell’inconscio.
lucy franco lucy franco   Messaggio 7 di 30
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Lo straordinario punto di vista di Emme Divi su fotografia e dintorni in questo nostro colloquio termina qui ma la sua gentilissima disponibilità continuerà per voi, per ogni vostra domanda .

Prossimamente questo spazio sarà dedicato alla scoperta di un maestro di un modus di fotografia che sconfina dalla cinematografia alla letteratura. La sua cultura davvero impressionante si tradurrà per noi in un discorso straordinario per esperienza, corredato dalle sue immagini particolarissime, che rappresentano il top di un genere fotografico difficile, ma oltremodo suggestivo.
E, attraversando le sue parole, incontreremo anche una amica di nome Annie Leibovitz….
Vincenzo Caniparoli Vincenzo Caniparoli Messaggio 8 di 30
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Ciao Marcella!
Credi che le operazioni che compiamo con la macchina fotografica, quando ne sfruttiamo la capacita' di portare fuori dal tempo una successione di istanti presenti (salvati forse dallo scivolare nel passato, ma comunque congelati nella penombra di una di semi-realtà, forse ricordata, ma certamente perduta per sempre), possano in qualche modo essere assimilate ai processi inconsci che avvengono nella nostra psiche durante il sogno?

Tanti complimenti

v
Utente cancellato Utente cancellato Messaggio 9 di 30
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intervista di grandissimo spessore ... non faccio mai o quasi i miei complimenti all'intervistato ma qui li porgo all'intervistatore che ha la non facile capacità , a mio avviso frutto di profonda riflessione, di modellare le domande ad arte andando a chiedere quello che a seconda del proprio modo di intendere la fotografia è più corretto domandare al soggetto di turno. e qui questa capacità hsa forma estremamente puntuale

ammettendo che ho apprezzato moltissimo la struttura delle risposte che hanno toccato temi molto complessi e che a mio avviso sono propri di pochi "cultori della materia".
ecco la mia domandina: ad un certo punto parli di "intuizione" concetto che a mio avviso significa soprattutto nella realizzazione di progetti che prendono vita in forma tangibile riconoscere che un qualche cosa, anche apparetemente estraneo, può fornire "materiale da costruzione" . le parole , come scriveva Ernesto Nathan Rogers nel suo primo editoriale di Domus lo sono ...perchè sono il mezzo di comunicazione più diretto ed immediato. la fotografia lo può essere ma spesso viene travisata dando ad essa solo il compito della semplice documentazione o meglio della riproposizione o ancora peggio sfruttando il lato emotivo del soggetto ripreso per determinare il rapporto con l'osservatore e catturarne l'attenzione . le tue immagini provegono da un altro pianeta ( non a caso parlo spesso di Marte nei miei interventi sulle tue straordinarie immagini) : non documentano la realtà e neppure vogliono essere, a mio avviso, facili veicoli per fornire emozioni semplici ed immediate. Quando in te scatta quindi l'intuizione che una fotografia se realizzata come la pensi sia in grado di percorrere questa strada a metà tra sogno e realtà, tra vero ed immaginario che è infinitamente meno battuta delle altre?

i complimenti comunque te li faccio soprattutto per la tecnica che utilizzi in cui la manipolazione non è fine a se stessa ma unico modo, come era un tempo, per dare sostanza all'inconsistente
Utente cancellato Utente cancellato Messaggio 10 di 30
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Ammiro:)
Utente cancellato Utente cancellato Messaggio 11 di 30
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Il primo pensiero per Lucy. Occasione rara, speciale, trovare questa qualità nelle domande. Una gioia immensa, esercizio all'impegno. Riscrivo ancora il mio stupore e tutta la mia ammirazione ogni qual volta questa tua fluida ed intelligente dialettica interiore prende forma attraverso il tuo sentire in fotografia e soprattutto al tuo modo di decifrare e ricevere le foto altrui. Grazie.
Utente cancellato Utente cancellato Messaggio 12 di 30
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@Vicenzo

Nota molto interessante la tua. In un certo senso sì perché in entrambi i casi, ma in un "tempo" diverso, si lavorano emozioni (stati emotivi). Da qui l'apparente non-senso di quel che faccio (come nel sogno), del risultato che posso ottenere, alle volte è sensazione di utilità dell'inutile. Per me è da leggere (o rileggere) tutto nel controllo inconscio delle emozioni sui processi mentali superiori. Anche con una macchina fotografica (o una penna per chi scrive) la tentazione è sempre quella di sublimare uno stato emotivo, buono o cattivo che sia. Se in generale si dice sempre che la macchina fotografica è un filtro ( altra parola che a me piace molto) eccellente tra realtà e la propria visione interiore-inconscia, e dunque un mezzo per rappresentare una realtà ideale e immaginaria; io cerco di non scordarmi mai che in mezzo ci abita sempre l'azione di filtrare che è strettamente connessa alle nostre esperienze intellettuali, della conoscenza. Grazie Vincenzo
Utente cancellato Utente cancellato Messaggio 13 di 30
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@Luca

Ecco qui altre 3 note super interessanti....

Condivido in pieno quello che scrivi sul significato di "intuizione" ... anche la fotografia certamente lo è, ma nel caso in cui, come scrivi, la stessa viene sfruttata al peggio quando viene travisata sfruttando il lato emotivo del soggetto ripreso per determinare il rapporto con l'osservatore e catturarne l'attenzione ... ho l'occasione per puntare l'attenzione su un'altra parola che a me piace molto: educazione. Anche il fotografo "moderno" deve educarsi e non solo allo studio delle caratteristiche della comunicazione per immagini e dei tratti specifici del linguaggio fotografico; Deve educarsi anche alla comprensione del ciclo emotivo che conduce l'esperienza emotiva e che passa attraverso 4 stanze (attesa, stupore, illusione, morte) in un ciclo continuo che porta il cambiamento (D. Demetrio). In queste stanze alberga l'intuito.

"Intuizione" che porta "Materiale da costruzione" è fantastico ... per esempio è quel che accade se proviamo a fotografare con intuito i materiali ... plastica, legno, carbone, un groviglio di fili di neoprene ecc. ... pensando ... ma la macchina fotografica in che modo può rendermi l'immagine di questi materiali?

Ritornando alla tua domanda finale ... l'intuizione per sua natura è talmente diretta e immediata palesandosi in forte contrapposizione alla conoscenza logica e discorsiva che scatta quando c'è associazione. Per me l'associazione è l'incontro, quasi sempre, tra parola e una probabile atmosfera visiva ... e questa è la parte più divertente, quella delle associazioni mentali, quasi un gioco ... dopo bisogna prendere in mano la macchina fotografica e realizzare.
Utente cancellato Utente cancellato Messaggio 14 di 30
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Grazie Cristina ...
gino lombardi gino lombardi Messaggio 15 di 30
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Concordo: intervista di grandissimo spessore sia per la qualità delle domande che per la qualità delle risposte. Inoltre, è un’intervista che ritengo particolarmente affascinante nella parte in cui affronta un problema che ha sempre fatto parte della storia del pensiero: “la cosa in sé” (vale a dire ciò che di trova al di là dell’apparenza) esiste ed è reale (pur costituendo il limite della conoscenza umana, come sosteneva Kant) oppure è il mero risultato di un processo astrattivo della mente (configurandosi come “vuota cosa”, secondo la definizione data da Hegel)? Dalla lettura del tuo scritto, dove ritrovo “la cosa in sé” tradotta con l’espressione “significati nascosti”, è chiaro il tuo orientamento verso l’esistenza del “noumeno” (tant’è che la tua fotografia ricerca proprio la migliore visualizzazione dei significati nascosti), ma mi chiedo e ti chiedo: se i significati nascosti esistono e possono essere oggetto della nostra conoscenza, e considerando che ciascuno potrebbe individuare – in base al proprio personale sentire – significati nascosti diversi da quelli individuati da altri, non c’è il rischio che la verità sia frammentata in tante verità e che la conoscenza acquisita sia errata?

Ciao e grazie

Gino
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