JERRY UELSMANN

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La suggestione degli incanti

Catturata nell’incanto e per amor di conoscenza presento Jerry Uelsmann (Detroit, 1934), non fosse altro che per assecondare quella mia angoscia interrogante per i significati nascosti perché, come egli scrive, All the information is there, and yet the mistery remains (tutte le informazioni sono lì, eppure il mistero rimane).


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J. Uelsmann fa parte di un gruppo di artisti (v. per es. Arthur Tress, Eugene Meatyard, Leslie Krims, Duane Michals) che si può dire abbia contribuito all’evoluzione del linguaggio stesso del mezzo fotografico. Se la fotografia illuse il mondo che finalmente era possibile produrre immagini fedeli di ciò che ci circondava, non ci volle molto per capire che anche quell’idea di fedeltà era, in effetti, un concetto del tutto labile e soggettivo. L’intento non è più quello di documentare il reale, ma di spingersi al di là di esso, unendo quei fili spezzati per unire immaginario e visione, visibile e invisibile. Un nuovo approccio che ci conduce sulla soglia di un’altra realtà, mitica e onirica.


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Un cenno storico sul periodo sarebbe d’obbligo per comprendere meglio l’influenza che ha avuto il suo lavoro ma per non allungarmi troppo e perdere il filo delle immagini che qui più mi preme sottolineare rimando alla precisa e molto chiara introduzione storica che ha scritto Lucy Franco presentando Minor White,

http://www.fotocommunity.it/forum/read. ... &i=37&t=37

qui, in breve, ricordo Ansel Adams (1902-1984) perché il suo nome segna la rotta più o meno esclusiva fin nel cuore degli anni Cinquanta e oltre. Adams con un gruppo di fotografi paesaggisti porta agli estremi i dettami della straight photography (letteralmente “fotografia diretta”); Il movimento fotografico che si propone di riprodurre in maniera obiettiva la realtà senza l’ausilio di alcuna implementazione tecnica perché consideravano qualunque cosa in grado di alterare la fotografia, un atto che rende automaticamente meno puro lo scatto e, quindi, meno vero. È il momento storico in cui si diffonde la fotografia documentaria, nasce la figura del fotoreporter e c’è maggiore attenzione alle grandi questioni sociali. Sempre Adams, nel 1932, fonda lo storico Gruppo f/64 con riferimento al valore più alto con il quale ottenere la maggiore nitidezza e profondità di campo con gli obiettivi delle fotocamere di grande formato, utilizzate per ritrarre i grandi scenari naturali americani.
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Ansel Adams fu a partire dagli anni Trenta il teorico della pre-visualizzazione, un particolare approccio basato sulla pre-visione mentale dell'immagine, così da averla virtualmente già compiuta nel pensiero ancor prima di premere il pulsante di scatto. Nel 1966 Uelsmann pubblica un articolo dal titolo: “Post-visualization”. Quando le cose si definiscono meglio a partire dal loro contrario: lasciando fluire nuovamente nell'immagine l'indistinto della fantasia, dell'inconscio, del sogno, della reinterpretazione soggettiva e aleatoria del reale.

Il momento creativo, che in ambito di pre-visualizzazione e di straight photography raggiungeva il suo apice al momento dello scatto, con Uelsmann si dilata ben oltre quell'istante; ciò che in precedenza costituiva un traguardo diviene un punto di partenza. Ogni immagine scattata entra a far parte di una sorta di riserva creativa insieme ad innumerevoli altre. L'artista combina di volta in volta immagini diverse per dar vita a sempre nuove creazioni quasi una vera e propria ars combinatoria. Questa sua teoria influenzò la rivoluzione fotografica degli anni Sessanta, che, lasciandosi alle spalle l'istantaneità del momento decisivo, espanse il concetto stesso di fotografia, emancipandola dal suo status di affidabile testimone del reale. Una posizione, questa, maturata anche grazie alla guida di maestri d'eccezione come Minor White, Beaumont Newhall, Ralph Hattersley, Henry Holmes Smith. Vincere il riserbo ad infrangere il patto di fedeltà incondizionata nei confronti del qui e ora, maestri che gli insegnarono quanto fosse pericoloso illudersi di conoscere già tutto, smettere di interrogarsi e di conseguenza cessare di alimentare la propria crescita intellettuale e creativa.


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Realizzate analogicamente con sofisticate combinazioni tecniche di ripresa e di stampa in camera oscura, le sue composizioni surreali hanno anticipato di decenni la produzione di immagini realizzate attraverso l’utilizzo di software di manipolazione digitale come Photoshop. Il lavoro di Uelsmann resta comunque consacrato alla fotografia analogica, fatta di pellicola, chimici e carta ai sali d’argento. Lavora con otto ingranditori diversi nei quali posiziona differenti negativi che, opportunamente mascherati, andranno a proiettare sulla carta frammenti di immagini realizzate anche a diversi anni di distanza ma che egli fa convivere in un unico messaggio finale. Un collage di pensieri, luoghi e persone che sono il frutto di esposizioni multiple in fase di ripresa, di sandwich fotografici composti con strati di pellicole e di esposizioni multiple in fase di stampa dove egli mette in atto il vero processo creativo. In questo senso la macchina fotografica rimane un semplice oggetto per collezionare, il lavoro prodotto con la fotocamera non rappresenta né un punto di arrivo né il momento più creativo della produzione. La camera oscura, invece, da lui stesso definita il suo laboratorio di ricerca visiva diventa un luogo dove scoprire, osservare, meditare. Più che di dar prova di particolari doti tecniche (che davvero straordinarie in competenza e metodologia lo sono) sembra preoccuparsi maggiormente di innovare il proprio linguaggio espressivo quasi a voler costringere lo spettatore a misurarsi con le proprie emozioni.


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Nelle immagini di Uelsmann concetti come fedeltà o realismo fanno riferimento a descrizioni di stati d’animo interni più che a fenomeni esterni. Di sicuro esse non intendono essere documenti nel senso che non cercano di produrre prove visive plausibili ma cercano di mostrarci un mondo, e non il mondo, attraverso metafore, segni e simboli che fanno parte di un vissuto non riconducibile a precise condizioni di tempo e spazio.
La sua fotografia sembra non voler fornire soluzioni in termini di contenuti ma piuttosto aprire le porte su altre dimensioni, su aspetti più meditativi che logici della psiche umana, diventa quasi un pretesto per parlare di altri saperi e la forza del suo lavoro non si può misurare in effetti o tecniche o trucchi ben riusciti capaci di dar luogo a immagini esteticamente apprezzabili. A questo artista dalla rara sensibilità sembrano interessare l’energia, i messaggi, i sogni. Il significato sembra naufragare, imbocca direzioni improbabili, si lascia trascinare da una corrente illogica e visionaria con una naturalezza tale da lasciare increduli.


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È successo pure a me, passati l’incredulità e l’incanto, il momento successivo è quello che porta ad avvicinarsi alle stampe fin quasi a sbatterci il naso contro, alla ricerca di un segno, una giuntura visibile, una qualsiasi minima imperfezione che ci confermi l'irrealtà di quelle illusioni costruite ad arte. A mio avviso è questa la forza primaria dei suoi lavori, così come lo fu delle fantastiche invenzioni pittoriche di René Magritte (suo fondamentale riferimento in ambito pittorico). Nelle fotografie di Uelsmann, né più né meno che nei quadri di Magritte, la plausibilità del visibile non viene mai contraddetta: il reale non risulta mai deformato (come accade per esempio negli oli di Dalì); ogni elemento della scena, considerato singolarmente, non urta la nostra addomesticata capacità percettiva.


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Quest’ultima viene però meravigliosamente destabilizzata nel momento in cui si prenda in considerazione l'insieme dell'opera, il modo paradossale ed enigmatico con cui i tasselli del reale vi risultano combinati, del tutto arbitrariamente; è allora che l'osservatore percepisce lo stravolgimento di ogni senso e dimensione, e, sentendosi disorientato, è costretto a rimettere finalmente in discussione la realtà alla luce di un nuovo meccanismo di percezione all'insegna della soggettività e dell'incertezza, ma soprattutto della libertà assoluta, vivificante del pensiero.
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In Apocalipse II del 1967,


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un gruppetto di figure, che sembra in attesa di uno spettacolo pirotecnico, osserva imperturbato un enorme albero totemico che emerge dalle acque di un placido mare; una sorta di mostro del comune immaginario, un ragno gigante, un fungo di energia che si dirama nel nero profondo della notte.
L’albero, sin dall’inizio, è un protagonista delle sue immagini (trionfa nelle opere degli anni Novanta), egli lo riveste di una forte carica simbolica, un essere magico a metà strada fra la natura e l’uomo che spesso ha valenze antropomorfe o dialoga serratamente con oggetti e spazi umanizzati.


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Ad un certo punto sembra non sentire più il bisogno di dire, così i titoli non scompaiono del tutto ma a partire dagli anni Ottanta le sue immagini sono prevalentemente degli Untitled, poi nelle opere recenti essi ritornano, in forma più allusiva, per accrescere il valore simbolico dell’immagine.
La terra diventa un cielo di soffici nuvole inconsistenti,


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le fondamenta di una casa si trasformano nelle radici di un albero secolare che minacciano le viscere della terra,


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una barca sta inesplicabilmente immobile nell’acqua sotto una cascata dirompente,


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e ancora un albero si libra nell’aria sospeso su un lago, mostrando le sue radici sottili,


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gli angeli sembrano essere tornanti sulla terra,


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porte misteriose si aprono verso un altrove indicibile.
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È su questi meravigliosi ossimori che Uelsmann costruisce le sue immagini surreali.
L’uso esclusivo del bianco e nero è il segno del suo inconfondibile stile.


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I simboli di cui sono ricche le immagini di Uelsmann non sono presentati per essere capiti razionalmente e neppure per essere spiegati: semmai funzionano come ostensioni, come aperture perturbanti verso il nostro immaginario. In molte sue immagini ricorre la figura di una barca solitaria, il simbolo potente del viaggio, della traversata compiuta dai morti o dagli iniziati.


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L’acqua, altro elemento molto presente nella maggior parte delle sue opere, è invece sorgente della vita, un mezzo di purificazione, un centro di rigenerazione.


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La terra che ci racconta è la terra senza il male, la dimora degli dei, dove nessun uomo è solamente un uomo, e nessun dio è solamente un dio, ma ciascuno è simbolo, cioè parte in cerca dell’altra parte.


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In molte sue immagini ci sono mani aperte, pronte ad accogliere teneramente ciò che spesso cancelliamo dalla nostra mente.


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Stanze di cielo,


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Messaggio Modificato (22:52)
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una goccia che crea un cerchio perfetto nell’acqua di un lago immoto.


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E non siamo solo noi a osservare le sue immagini, ma sono anche loro che guardano noi, lasciando emergere dalla terra strani occhi inquietanti, ammonitori,


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tramuta corpi in pietra,


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e ancora gli alberi in divinità,


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figure femminili abbracciate d’erba,


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Trovo alquanto sublimi queste rappresentazioni per il fatto che sono tanto realisticamente improbabili quanto virtualmente possibili e, aggiungerei, verosimili. È la credibilità delle sue immagini che mi conquista, dovuta all’altissima qualità fotografica che le contraddistingue: sono talmente naturalistiche, così vere che potrei anche illudermi che una muta bocca femminile compaia d’un tratto sul mio cammino, per svelarmi i misteri che nasconde una semplice strada nel bosco.


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Il coinvolgimento estremo che si prova di fronte alle sue immagini deriva in gran parte proprio da questo loro essere delle opere aperte, suscettibili di illimitate interpretazioni. Il momento creativo si espande a tal punto da arrivare ad includere anche noi osservatori, chiamati a concludere l'opera dell'artista; Le sue opere divengono così suggestivi accumuli di simboli, come anafore che siamo chiamati a riempire a seconda del nostro vissuto, delle nostre esperienze, dei nostri ricordi e fantasie.
Infine, per il tasto poetico a me più vicino, penso che le fotografie di Uelsmann abbiano una strabiliante capacità evocativa e straniante. Ogni volta mi innamoro di quell’istante, quando ogni certezza, cadendo, lascia il posto all’emergere della poesia. Penso che le sue immagini più che costruzioni mentali o visioni metafisiche, siano poesie surreali, scritte in versi aperti, che schiudono varchi di senso e proprio qui lo spettatore è libero, libero di riempirle con le sue parole e le sue emozioni.


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Vi lascio con la breve e simpatica intervista di Mauro Fiorese a Jerry Uelsmann.

http://www.youtube.com/watch?v=0j-g7vpWtPQ


Bibliografia:
Mauro Fiorese (a cura di), Meditation… navigation Jerry Uelsmann 1961-2006, Marsilio, 2008
Jerry Uelsmann, Synchronistic Moments, Vanilla Edizioni, 2011

Per una visione generale ed esaustiva del percorso creativo di Jerry Uelsmann rimando al suo sito ufficiale.

http://www.uelsmann.net/



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Grazie Maricla, una gioia enorme poter condividere questo spazio speciale, la tua professionalità e la tua passione sono uniche.
lucy franco lucy franco   Messaggio 9 di 19
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Letta tutta di un fiato, osservate le fotografie, ascoltata l'intervista....che bel lavoro su questo fotografo che personalmente poco conoscevo, avvincente, senza un attimo di caduta di attenzione, eppure veicolo di grande approfondimento.

Riscopro qui l'amore di Marcella, che fa desiderare di possedere tutto della cosa amata, storia, genesi, tracce di vita intrecciate a perenne evoluzione, ricerca di una comunicazione "altra" : la "post - visualizzazione" fertile creatività.

Questo è uno spazio prezioso, grazie a chi lo ha arricchito, come Marcella.
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beh, questo spazio potrebbe diventare una bella "biblioteca" ...
Sono sicuro che hai fatto un gran lavoro, dopo me la leggo con calma.
ciao Marcella
Er@S
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Bene, letto e apprezzato il tuo lavoro nonchè un autore che, per mia fortuna, già conoscevo.
Grazie Marcella
Er@S
laura fogazza laura fogazza Messaggio 12 di 19
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un autore che amo da tempo...un'esposizione la tua, Marcella, davvero bella...

grazie per la bella lettura/visione...
laura :))
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grandissima lectio ... autore immenso che hai saputo raccontare in modo magistrale .

davvero interessante e tu bravissima... c'è molto di tuo qui
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E' proprio il caso di dire i nostri maestri, e per fortuna che esistono!
Faccio i complimenti a Marcella per l'ottima ricerca,dove ha saputo dare in maniera concentrata e semplice un senso allo stile fotografico che va al di là della normale lettura visiva.
Questo angolo (i nostri maestri) merita veramente.
Complimenti alla redazione di FC e a Maricla che svolge il suo lavoro con molta professionalità.
Brava ancora Marcella si vede che hai studiato ;)
Salutone a tutti i passanti
Alessandro
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@Lucy
Anch'io spero in numerosi altri interventi per questo spazio tutto da arricchire.
I maestri servono. Leggendo interviste varie, ho notato che lui reca sempre tributo ai suoi maestri e, a proposito di Minor White, a una conferenza gli venne riferito che le ultime parole pronunciate dallo stesso sul letto di morte furono: “C’è una piccola barca che mi sta aspettando”. Pare che questo avvenne quando Uelsmann aveva appena realizzato un’immagine in cui una piccola barca galleggiava su un mare di nuvole verso la luce … Mah! Forse è una leggenda però è una bella storia :)
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